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Interviste

Intervista ai Bud Spencer Blues Explosion, Adriano Viterbini e la musica come passione, lavoro, responsabilità

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Mi torna in mente un’immagine, una polaroid scattata e appesa alla bacheca dei ricordi con una puntina magnetica colorata. C’è un palco ancora in allestimento, ci sono delle strutture metalliche, lassù, ad intrecciarsi con il tramonto, come un’opera d’arte post industriale. E c’è una ragazza di spalle, con i capelli appoggiati su un tatuaggio e lo sguardo ancora oltre a ciò che si vede, ancora fisso allo spazio del backstage.

Carroponte, Milano, settembre 2018 e l’intervista ai Bud Spencer Blues Explosion, prima di un loro concerto. Un momento speciale per me, un nuovo inizio che, da quella volta, si è trasformato in una sorta di “rituale”. L’appuntamento con la musica del duo più esplosivo del panorama italiano, formato da Adriano Viterbini (voce e chitarra) e Cesare Petulicchio (batteria), ha segnato tappe speciali, di quelle che si evidenziano in rosso, sul calendario. È stato così anche lo scorso anno, sempre al Carroponte, quando mi sono trasferita a Milano. È stato così anche a Pistoia, qualche settimana fa, in occasione del Blues Around, il 18 luglio. Si può immaginare una ripartenza più carica per il mio primo live dopo lo stop globale causato dagli effetti della pandemia?

Il cerchio ha compiuto l’ennesimo giro. Una (non) coincidenza che ha assunto ulteriore valore grazie ad una nuova intervista, quella che abbiamo realizzato con Adriano Viterbini. Ci siamo divertiti a ripercorrere la discografia della band, attraverso un format particolare: due domande per ogni album che prendono spunto proprio da due brani contenuti in ognuno dei dischi pubblicati. È stato come scrivere insieme una setlist che, canzone dopo canzone, risuona di musica, passione, riconoscenza e consapevolezza.

 

BUD SPENCER BLUES EXPLOSION (2009)

Mi sento come se – “Mi sento come se non ci sentissi più”. Hai mai percepito questa sensazione come musicista o nella dimensione della band? Come se qualche tassello non fosse al suo posto…
Il periodo in cui abbiamo scritto quel brano coincideva con un momento un po’ inquieto in realtà. Avevamo ventisette, ventotto anni: singolarmente avevamo già collezionato esperienze da turnisti, avevamo scritto qualcosa per conto nostro o con altri musicisti ma non era successo mai nulla di troppo entusiasmante. La percezione era quella di non far parte della scena musicale di quegli anni e, a questo riguardo, forse sì, ci siamo sentiti un po’ fuori dal coro. Non avevamo grandi obiettivi se non quello di andare a suonare per divertirci, per il puro piacere di farlo e quando sono nati i Bud Spencer Blues Explosion ci siamo finalmente riusciti. L’unico rimando a quello che stava circolando di contemporaneo era la formazione del duo che, in seguito al successo degli White Stripes e dei Black Keys, era stata un po’ sdoganata.

Good Morning Mike – “Non impressionarti per il modo in cui trasformo la mia fantasia”. Come hai trasformato la tua fantasia nell’ultimo periodo, considerando anche la situazione fuori dall’ordinario del lockdown? Hai trovato nuove ispirazioni, scoperto nuovi artisti o sono nate potenziali collaborazioni?
Il “non impressionarti” era riferito all’esagerazione che vedevamo nel frangente in cui stavamo scrivendo l’album in questione, uscito nel 2009. C’era tanto di sopravvalutato, anche il minimo pensiero era etichettato come “poesia”. Oggi succede ancora di più, soprattutto nel mondo dello spettacolo. Devo dire, però, che la qualità è sempre presente e continua anche a migliorare, in particolare nell’attività di chi non usa l’arte per fare il colpo gobbo o per riuscire ad ottenere risultati più semplici. In quei casi di impegno e dedizione, trovo la sensibilità e il coraggio di rischiare giusti per un’attitudine positiva. Poi, per quanto mi riguarda, la quarantena è stata un po’ terribile perché, pur essendo arrivati tanti stimoli e tanti spunti, non è stata così di ispirazione. Trovo, però, che sia stata una bella opportunità scoprire nuove modalità di comunicazione, al di là del solito telefono. Essere più direttamente in contatto e potersi confrontare, benché a distanza. Non parlo soltanto dello smart working ma anche della possibilità di utilizzare tecnologia, piattaforme online e social in modo creativo.

D.O.I.T (2011)

Più del minimo – “Mi sorprendo ogni volta, ogni volta ci credo”. È un verso ma è anche una citazione di chi assiste ai vostri live perché la vostra energia non smette mai di stupire. Dopo anni di attività sui palchi, non solo con questo progetto ma anche a fianco di nomi molto celebri, qual è l’aspetto che ti sorprende ancora quando sei lì sopra?
Mi sorprende l’importanza che do a tutto questo e l’importanza che gli darò sempre. Chi fa con cura questo lavoro, sa quanto sia significativo il momento prima di salire sul palco, perché stai coronando quello che hai svolto durante la settimana e durante le settimane precedenti. Ok, le ore di furgone, il soundcheck, la pausa pre concerto…ma quando sali sul palco, tutto acquista significato ed è lì che si percepisce la responsabilità, sia verso il pubblico sia verso se stessi. In quell’ora e mezzo, ogni cosa deve funzionare perfettamente altrimenti non si può tornare a casa soddisfatti. E poi, il fatto che mentre si suona, ogni volta, si realizza di aver coronato il sogno di fare quel lavoro, non smetterà mai di emozionarmi. Chiamarlo lavoro, per certi versi, è anche un po’ imbarazzante, però è così e, proprio per questo, lo scopo è sempre quello di migliorarsi, di essere sempre curioso e di dare di più, concerto dopo concerto.

L’onda“L’onda nucleare e le sue scorie di modernità”. L’onda che ha colpito il 2020 è stata, in realtà, uno tsunami del tutto imprevedibile. La musica e l’intero mondo dell’arte ne hanno profondamente risentito. Quali “scorie” pensi sia possibile “risanare” per riprendere il filo? E come state vivendo questo tour di ripartenza?

Credo che tale sconvolgimento possa far comprendere quanto sia fondamentale non ragionare in modo precostituito o secondo pregiudizi. In Italia si sentono molto spesso discorsi che sottolineano la divisione, la distinzione tra nord e sud, ad esempio. Durante i giorni di massimo allarme, per un attimo, ho pensato: “E se l’emergenza avesse colpito più violentemente il sud invece che il nord? Come si sarebbe sbilanciata l’opinione pubblica?”. Ciò che conta davvero e ciò che permette una coesione costruttiva è lo sviluppo di una coscienza civica e sociale unitaria. Noi, in quanto artisti, possiamo prendere una posizione affinché ciò che facciamo e il mondo in cui lavoriamo venga rispettato. Per troppo tempo si è dato per scontato tutto ed ecco il risultato. È necessaria un’azione etica che conduca ad una responsabilizzazione, sia come cittadini sia come lavoratori.

 

BSBE3 (2014)

Miracoli“Gloria, gloria, tu puoi rinascere”. Ho immaginato che questa “preghiera” fosse rivolta alla musica rock. Da anni, ormai, imperversa il dibattito sulla scomparsa di questo genere. Essendo il blues una delle costole fondanti, che cosa pensi a riguardo? È cambiato il modo di concepire il rock, è morto o può davvero rinascere?
Guarda, tutta la questione in merito alla morte del rock mi sembra davvero assurda. Quando sento parlare del rock o del blues è come se sentissi parlare di poesia, non credo moriranno mai, sono universali, essendo la musica stessa espressione dell’uomo. Sono le classiche frasi, queste sulla morte del rock, che fanno notizia o che pongono l’accento su altri generi musicali. Se cambia il contesto, cambiano anche le modalità di espressioni e di conseguenza quello che si intende per “rock”. Il rock è un’attitudine e magari, al giorno d’oggi, lo stesso carisma di Iggy Pop lo ritroveremo in un artista che fa trap. Da una parte me lo auguro. È una questione di flusso e di energia.

Inferno personale – “Disegno un inferno personale”. E dopo miracoli, riprendo un tema ricorrente nella vostra discografia, quello dell’inferno (in un possibile mash-up anche con “Io e il demonio”). Che significato o che messaggio vuole veicolare?
Nel blues e in tutto quel tipo di immaginario ricorre spesso il riferimento all’inferno. Lo abbiamo ripreso per disegnare dei paesaggi e per cantare di vibrazioni, cose e sentimenti che già erano stati esplorati in passato ma che nella nostra struttura di canzone italiana, più sul versante rock, potesse essere originale e affascinante. Abbiamo utilizzato questi paesaggi come una tavolozza di colori che dipingessero uno scenario.

VIVI, MUORI, BLUES, RIPETI (2018)

E tu? – “Noi in due suoniamo come uno, noi in due suoniamo come in dieci”. Quando la formazione di duo è stata un valore aggiunto e quanto vi ha, in parte, limitato?
Un valore aggiunto della dimensione del duo è stato ed è tutt’ora l’immediatezza della connessione e di sinergia musicale. Quando suoni con una persona con la quale ti intendi, non devi parlare più di tanto. La musica viene da sé, quasi per magia. Talvolta, questo tipo di sinergia fra tre o quattro persone, quindi una band, non è per niente facile da trovare ed è lì che si cede a dei compromessi, non riuscendo a realizzare totalmente quella che è l’idea di partenza. Chiaro, succede anche a noi che siamo in due, quando la vediamo in modo diverso…però, tutto sommato, siamo sempre stati in grado di riavvolgere il nastro, valutando quelle che sono state le premesse più importanti ed istintive che ci hanno spinto ad iniziare. È il motore che ci aiuta ad andare avanti, a scrivere cose nuove, ad essere curiosi. Il lato negativo del duo, in ogni caso, si ricollega a quanto appena detto, perché, nel momento in cui non vai d’accordo, non c’è un terzo elemento che possa mediare o che faccia da collante. A volte si impone uno, a volte si impone l’altro…Mi sento comunque di dire che sono maggiori i vantaggi rispetto ai fattori limitanti. Ci riteniamo più fortunati di tante altre band.

Io e il demonio – “Lasciami andare via, che mi piace viaggiare”. Benché, ora, la possibilità di spostamento sia ridotta al minimo, c’è un luogo in cui vorresti andare o tornare non appena sarà possibile, sia come viaggio personale sia per suonare?
Forse adesso non mi viene in mente un luogo in particolare dove vorrei andare a suonare o che vorrei raggiungere. Mi piacerebbe, piuttosto, trovare uno spazio o un luogo dove andare a scrivere della nuova musica insieme a Cesare. Una casa in campagna o qualcosa del genere. Credo che potrebbe essere molto importante per la band in questo momento perché ci potrebbe aiutare a comporre, a trovare ispirazione e formulare idee. Due musicisti che si isolano senza distrazioni, senza internet, la città: è un’opportunità creativa fondamentale. Questa è una dimensione che mi piacerebbe sperimentare.

 

Foto di Ilaria Magliocchetti

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