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Interviste

Morris Gola, intervista al conscious rapper dalla periferia di Cinecittà

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È uscito il 18 settembre l’ultimo singolo di Morris Gola, conscious rapper dalla periferia di Cinecittà, dal titolo Plexiglas. Il brano, pubblicato sotto Visory Records, tratta uno smarrimento generale tra odio, razzismo e isolamento in un 2020 costellato di problemi. Il rapper tuttavia, pur parlando di attualità e temi sociali decisamente importanti e tornando all’impostazione più naturale del rap senza i fronzoli estetici delle nuove ondate, adotta un sound che trasuda black music alla quale l’artista stesso è molto affezionato.

Il risultato è un brano decisamente fresco, moderno ma allo stesso tempo fedele al macrogenere dell’hip-hop.

Plexiglas propone un ritorno alla normalità, ma non privo di una necessaria analisi di quest’ultima; una sorta di esame di coscienza a cui sottoporsi in un momento storico così delicato per tutti.

 

Plexiglas e Sud sono i tuoi due singoli pubblicati nel 2020 dopo Sprinter. Cosa è cambiato dall’uscita di quest’ultimo?

Sapevo che sarebbero stati due singoli. Le ho scritte perchè si tenessero in piedi da sole, e perchè prendendole singolarmente ci dessero gli argomenti per farsi una chiacchierata. Quando ho scritto l’EP avevo già in mente il concept del mio lavoro sul furgone, quindi vedevo ogni canzone come un piccolo mattone a servizio di una costruzione più grande. Questa differenza ha cambiato un po’ il mio approccio alla scrittura.

Ho ascoltato Plexiglas e l’ho vissuta come uno sguardo piuttosto amaro verso l’italia durante e post-covid. C’è qualcosa di più? È esclusivamente legato alla tua esperienza con questo periodo difficile?

Sono sempre stato polemico e critico. Secondo me la capacità di essere un rompicoglioni dovrebbe essere la spina dorsale di ogni artista. Ho sempre usato la scrittura e la musica come il mio mezzo per denunciare i mali della società. Figurati se in un momento terribile come questo mi facevo da parte! 😀

Le tue strumentali sono diventate decisamente funky, il groove è trascinante, catchy. Come mai questa svolta dall’R&B al funk?

Non credo che sia una “svolta”. R&B, funk, rap, soul, jazz, blues: per me fanno tutte parte della grande famiglia della black music. Vediamo se con la prossima resto su questo mood funky oppure mi sposto un po’…

La tua produzione è originale, si distingue dal mainstream. Hai qualche influenza particolare? Ascolti qualcosa per trovare ispirazione o qualche spunto?

Ho spoilerato la risposta nella domanda precedente. La mia vita artistica è iniziata quando ho scoperto la black music. Tutta la black music. Dai dischi soul della Motown degli anni ’60 e ’70 all’ R&B dei primi 2000 che si sentiva in radio quando ero piccolo, fino al rap che ha raccolto quest’eredità portandola in una dimensione più attuale e vicina a me. Sicuramente Lemonade di Beyoncè è stata la mia ispirazione più grande di questi ultimi anni.

Gli artwork dei due nuovi singoli sono molto simili e ciò mi fa pensare ad una sorta di continuità. Sono parte di un progetto più grande?

Mi fa piacere che l’hai notato. Mi piace pensare alla musica come parte di un immaginario, in cui anche le grafiche, le fotografie, i videoclip parlano tutti lo stesso linguaggio. Così abbiamo deciso, insieme a Nicole che sta curando gli artwork, di accompagnare le canzoni con queste piccole opere.

Devo ancora decidere se racchiudere questi singoli in un album oppure no…

C’è qualche artista con cui ti piacerebbe collaborare in futuro?

Margherita Vicario. Mi dai una mano tu e le fai arrivare ‘sta risposta?

C’è qualcosa che vorresti dire ai tuoi ascoltatori?

Metteteve la mascherina e non date retta a Salvini.

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