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The Heavy Countdown #150: Sleep Token, Asking Alexandria, Full Of Hell

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Sleep Token – This Place Will Become Your Tomb
Il secondo album è sempre il più difficile, diceva Caparezza. Questa regola non scritta è valida pure per “This Place Will Become Your Tomb” degli Sleep Token, attesissimo dopo il debutto di “Sundowning” (2019). Eccetto “Hypnosis”, l’episodio più heavy del disco, e “Alkaline” e “The Love You Want”, primi due singoli estratti che riassumono al meglio il Vessel-pensiero, la formula collaudata si ripete stancamente su tappeti di elettronica e pianoforte, con un focus ancora maggiore rispetto alla prima acclamata opera sulla voce del misterioso frontman, elemento che però, insieme alle atmosfere evocative, non basta per bissare la grandezza del lavoro precedente.

Asking Alexandria – See What’s on the Inside
Agli Asking Alexandria non piace stare con le mani in mano, e “See What’s on the Inside” ne è la prova tangibile. A fronte di un tour cancellato per le cause che tutti conosciamo fin troppo bene, e ad appena un anno e rotti da “Like a House on Fire”, Danny Worsnop e soci ci sorprendono con un album in cui si respira un ritorno convinto a un sound più graffiante e “rock” (vedi “Alone Again”). La melodia, ovvio, è sempre preponderante (e il numero altissimo di power ballad tipo la title track è lì a dimostrarcelo), rendendo la settima fatica degli AA un buon disco alternative (rock e metal), perfetto per la voce di Worsnop, che trova terreno sempre più fertile proprio in queste circostanze.

Rivers Of Nihil – The Work
Ce li ricordavamo molto bene i Rivers of Nihil, e li aspettavamo al varco dopo l’ottimo “Where Owls Know My Name” (2018). E il quarto full-length dei Nostri, si dimostra all’altezza delle aspettative, risultando vario ma omogeneo nella sua miscellanea di sonorità e influenze (l’esempio più riuscito è sicuramente “The Void from Which No Sound Escapes”), utilizzando sempre il sassofono non solo a mo’ di abbellimento, ma anche come elemento fondante. Come già evidente nel precedente album, l’accento sempre più marcato sulla vena progressive rock è ormai un qualcosa di irreversibile, anche se la violenza death(core) è spesso di casa (“Dreaming Black Clockwork”, “More?”).

Full of Hell – Garden of Burning Apparitions
Puntuali come un orologio svizzero, i Full of Hell e le loro copertine meravigliose tornano a schizzare di malessere e angoscia la nostra esistenza. Insomma, l’ideale da ascoltare durante queste prime giornate piovose e fredde d’autunno, con la tipica sensazione di panico attanagliante da cambio stagione. Detto questo, anche il quinto lavoro dei FOH non fa prigionieri, grazie ad abbondanti dosi di grindcore e noise (“Burning Apparition”) e qualche spruzzata qua e là di death/black metal (“Urchin Thrones”, “Reeking Tunnels”).

Blood Youth – Visions of Another Hell
Si fanno sempre più fosche le sfumature del sound dei Blood Youth, freschi della pubblicazione della terza fatica in studio, “Visions of Another Hell”. Nonostante questo incupirsi complessivo, il quartetto britannico non dimentica l’amore mica tanto velato per i refrain e i ganci melodici irresistibili (“Open Window”, “Iron Lung”) e continua a rendere omaggio a Korn e (soprattutto) Slipknot (“Cells”, Something To Numb the Pain”, “Colony3”), rendendo ancora più accattivante il tutto con una produzione moderna e bombastica.

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