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Interviste

Giorgieness, ritorna più matura con Mostri il nuovo album in uscita oggi

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Esce oggi “Mostri” il nuovo album di Giorgieness, anticipato dall’omonimo singolo sul mercato già da qualche giorno e di cui, sempre oggi, esce il videoclip. Un lavoro più maturo in cui l’artista si racconta con consapevolezza ed una quiete ritrovata.

Giorgieness al secolo Giorgia D’Eraclea inizia a farsi largo sulla scena musicale italiana come cantautrice nel 2011 . Dopo l’album di debutto “La Giusta Distanza” (2016), Giorgieness lancia “Siamo Tutti Stanchi“, disco che consacra il progetto nella scena indie nazionale. Ma è con questo album in studio, “Mostri”, che Giorgieness decide di allargare ancora di più il campo aprendosi a scenari cantautorali dalle sonorità pop già testimoniati dai singoli “Maledetta“, “Hollywoo“, “Successo” e “Tempesta”.

Ciao Giorgia è un piacere conoscerti. Ho ascoltato il tuo nuovo album “Mostri” e lo trovo sinceramente un lavoro ben fatto, ben prodotto e che contiene dei brani molto ben scritti. Tu sei l’autrice sia della musica che dei testi? So che sei una chitarrista.
Il piacere é mio! Mai come in questo album ho cercato di arrivare in studio con le idee chiare e dei provini arrangiati da me, prima di farli passare per le sapienti mani dei produttori. Quindi si, ho sempre scritto sia la musica che i testi delle mie canzoni, ma in questo album penso di aver messo molta più musica che in passato.
Credo che sia successa una bella magia, Ramiro, Davide e Marco mi hanno ascoltata allo sfinimento, capita, aiutata e hanno arricchito con la loro esperienza e il loro talento ogni canzone.
Abbiamo lavorato in maniera tranquilla, senza mai discutere più di tanto sulle scelte e soprattutto avendo degli ascolti simili non dovevamo sforzarci troppo per capire dove volevamo andare.

Hai sempre dichiarato che non avresti fatto un album uguale all’altro e hai mantenuto la parola. Hai sempre saputo che la crescita anagrafica si sarebbe conciliata con quella artistica?
Più che altro ho capito subito che quando avessi perso la curiosità, la voglia di scoprire nuovi lati di me come musicista, quando avessi smesso di cercarmi nella mia musica e di farne uno specchio della persona che ero in quel momento, avrei perso il senso del fare musica.
Diventare la copia di me stessa mi spaventa, come mi spaventa l’idea di non somigliare alle mie canzoni.
Ho vissuto un momento anni fa in cui salivo sul palco e dicevo nella testa “ok, adesso mi travesto da Giorgieness e faccio quello che vogliono che faccia” ovvero urlare e distorcere chitarre.
Non mi sono mai sentita più lontana da dove voglio arrivare.
Ad oggi però sono molto consapevole del fatto che soprattutto se sei songwriter il tuo percorso, la tua anagrafica, sono parte integrante di quello che crei.

I “mostri” di cui parli sono personali e, credo anche, universali. Chi non ha i propri mostri nella vita?
Questo disco potrebbe essere una sorta di catarsi per esorcizzarli o per comprenderli e tenerli solo a debita distanza?

Dici bene, questo disco è un grande esorcismo ma anche una festa della liberazione dell’anima.
Non siamo buoni o cattivi, siamo complessi ed è proprio quella complessità a renderci tanto affascinanti, tanto meritevoli di essere raccontati, che sia a noi stessi o nelle canzoni, ma non necessariamente a livello artistico.
Ad un certo punto ti rendi conto che tra quei mostri ci sei anche tu, tu che magari funzioni in modo strano, che se hai paura fai dei casini incredibili, che allontani le persone che vorresti avere vicino, che sei nato un po’ difettoso e fai fatica ad adattarti alla vita come ti sembra che gli altri sappiano fare.
Ma magari tu ti poni io problema e porsi un problema significa anche mettersi un passo di lato, osservarsi, capirsi, accertarsi.
Insieme a tutto questo però ad un certo punto personalmente ho smesso di voler piacere a tutti, di voler essere considerata una brava persona a tutti i costi. Perché semplicemente é dispendioso e impossibile. Allora ho deciso che volevo solo essere libera, fa malissimo, è bellissimo.

Hai detto che hai scritto questo album in un momento di quiete; è una condizione che deriva dalla pausa forzata creata dalla pandemia o avevi già, precedentemente, iniziato a mettere mano a questo lavoro? Se non mi sbaglio l’album contiene anche brani già usciti sul mercato.
Parlo di una quiete più personale, ho vissuto malissimo la lontananza dal palco, dalle persone che danno un senso a quello che faccio. Ho scritto solo “quello che vi lascio” in lockdown, il resto era già stato scritto ma non arrangiato, ho avuto la fortuna di continuare ad andare in studio.
Non potendo fare uscire l’intero disco, nell’ultimo anno sono usciti diversi brani, penso sia stata una buona scelta per tornare e anche per diluire l’effetto del massiccio cambiamento che ho fatto per chi lo ascolta.
Ci siamo arrivati preparati, ne sono sicura.

“Tutte le emozioni che proviamo sono valide e meravigliose, bisogna solo mettersi alla giusta distanza, anche se siamo tutti stanchi, c’è sempre un nuovo sforzo da fare per cui ne vale la pena.” Mi hanno molto colpito queste tue parole e mi piacerebbe approfondire l’argomento. Sei riuscita a trovare la giusta distanza?
Quasi sempre, si.
Non sono una persona che ha vie di mezzo: sto malissimo o sto benissimo, amo follemente o non provo nulla, lavoro 20 ore al giorno oppure non riesco a rispondere a due domande.
Vivere su un’altalena emotiva di questo tipo non è semplice, ho avuto e ho spesso bisogno di supporto, ma quasi mai questo mio essere così emotivamente una trottola ora mi ferisce.
A volte capita, ma poi riparti.
Spesso l’ho detto e lo ripeto mi scontro col sessismo che permea il mio ambiente di lavoro, fatto di silenzi, di uomini e donne compiacenti, di competizione inutile, di pochi che decidono chi deve farcela e chi no in base a criteri più vicini alla ricetta del Big Mac che alla magia del fare un disco.
Questo mi affossa ma poi mi dà forza, perché purtroppo so fare solo questo e continuerò a farlo perché avrò voce.
E se ho il naso rotto per le porte in faccia, lo sforzo nuovo è trovare un altro ingresso, passare sotto la rete, un buco nel muro.
Questo è l’esempio forse più chiaro di quello che volevo dire, la giusta distanza l’ho trovata da questo principalmente.

“Il Giardino Del Torto” è uno dei brani che mi ha colpito di più. Mi piace molto l’arrangiamento con l’arpeggio iniziale stile Zeppelin e il testo. Ti va di condividere il significato profondo delle parole che hai scritto?
Per la verità ci siamo ispirati ai King Crimson, ma si, gli anni di riferimento sono quelli, così come le atmosfere. Gli anni 70 sono molto presenti in questo album.
In realtà il giardino del torto me lo immagino come un bar dove andrebbe Bukowski a bere qualcosa con Amy Winehouse, Marilyn e Bojack Horseman; una specie di paradiso perduto, un luogo in cui chi per tutta la vita fa finta di sapersi adattare al mondo in cui vive, può essere sè stesso.
Nel profondo, spesso il giardino del torto è una persona che diventa la scatola dei tuoi segreti inconfessabili, di una parte di te autentica.

In “Cose Piccole” sembra che tu abbia fatto pace con te stessa e racconti la condizione che, io come madre, vivo ogni volta che i miei figli, i miei cari sono in giro. Ma quello che mi interessa sapere è come sei riuscita a trovare questo senso di riconciliazione con la tua anima più profonda.
Ho avuto l’idea per questa canzone proprio a casa dei miei genitori, una notte in cui ho capito cosa volesse dire sentire passare l’ambulanza e sapere che un tuo caro è per strada.
In quel caso, io sapevo che stavano tutti bene e potevo dormire serena.
Non so se sono ancora a quel punto, forse ho fatto qualche passo indietro, ma quando l’ho scritta ricordo un forte senso di soddisfazione personale, mi sentivo molto centrata e ho voluto fermare quella sensazione.
Vedi, niente è immanente neanche la consapevolezza, però arriva, ti scalda. Venivo da un momento in cui ho tirato fuori tutta la forza che avevo e chiusa una relazione tossica che mi ha dilaniata, ho scelto di ripartire da zero.
Non avevo per la prima volta manager, etichetta, booking, ufficio stampa, soldi.
Non avevo niente, solo una manciata di canzoni, ed è stata la scelta migliore che abbia mai fatto.
Ricostruirmi ha dato il doppio del valore a questo album, ogni mattoncino era un po’ di sole che entrava.
Non è che la cosa più importante della mia vita sia il lavoro, è proprio quella cosa lì che se metti insieme le note poi diventano una canzone e tu ti senti meglio.

A proposito di anima…Mi piacerebbe ascoltare la storia di “Anima in Piena”, so che l’hai scritta di getto in studio.
Volevo dare una fine alla storia di cui avevo parlato nei primi due album, la meritava. L’ho scritta davvero senza pensare, avevo parte del ritornello da almeno tre anni e un momento particolare di cui parlare.
La storia alla fine è molto semplice, sono due persone che dopo quasi dieci anni sono riuscite a capirsi e a starsi vicino, é inizio e fine insieme.
A volte mi vergogno di quanto infine siano le canzoni che scrivo, ma prima di tutto servono a me per ricordare, per mettere in ordine, dargli un senso. “E vorrei essere al tuo fianco mentre invecchi” dicevo nel primo album, in Non Ballerò. Tutto sommato è successo.

Un album che profuma di donna e di donne. Hai scelto di circondarti di uno staff quasi tutto al femminile. È difficile conciliare le molteplici sfaccettature della personalità femminile sul lavoro?
No, non è difficile farlo, è difficile non ascoltare le voci attorno.
Quando sei una donna tutti sanno meglio di te cosa dovresti fare, di cosa dovresti parlare, come dovresti porti, che musica dovresti fare.
Stronzate.
É difficile conciliare la delusione costante e le difficoltà pratiche – che l’affitto va pagato – con la voglia di andare avanti in maniera onesta, più che altro.
Sono stata anche io una ragazzina che si credeva migliore perché “ho solo amici maschi” e “io sono diversa”.
Certo, come no.
Poi cresci e scopri che contro le donne ti ci ha messo il patriarcato, perché è più facile distrarci e obbligarci a concentrarci su cose superflue, farci fare a gara per chi é più bella, mettere una sedia in mezzo e guardarci mentre ci massacriamo per essere quella che riesce a sedersi.
Cresci e capisci che se hai una voce devi usarla e che la rappresentazione è lo strumento più potente che abbiamo per cambiare le cose.
E così mi sono circondata di donne (anche il mio ufficio stampa e 3/4 del management sono donne) e ho fatto in modo che nel mio piccolo potessimo far vedere quante belle cose si possono fare insieme. Unite. Uniti. Unit*.

Sono tantissimi gli artisti di grande calibro con i quali hai condiviso il palco come, Tre Allegri Ragazzi Morti, Verdena, Morgan, Fast Animals And Slow Kids, The Kooks, Garbage, Placebo, White Lies e Savages etc. C’è ancora qualche progetto del genere e quando inizierà il tuo tour?
Io me lo auguro! dividere il palco con artisti internazionali soprattutto è come fare un master in una sera.
Da loro ho imparato l’umiltà, la costanza, la tenacia e l’inclusione: non sono mai stata trattata da apertura, ma da collega.
Aver avuto queste opportunità da così giovane è stato fondamentale, ringrazierò sempre Carlo Garrè il mio ex manager per tutto quello che ha fatto, per avermi resa la musicista che sono.

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