Dischi
The Heavy Countdown #155: Underoath, Fit For An Autopsy, Comeback Kid

Underoath – Voyeurist
Gli anni turbolenti hanno giovato agli Underoath, che dopo aver ritrovato un certo equilibrio in line-up e un rinnovato slancio compositivo, tornano in scena con “Voyeurist”. Se il precedente “Erase Me” (2018) aveva fatto preoccupare i fan della prima ora con le sue velleità alternative rock (peraltro riuscitissime), il nuovo arrivato non è stato da meno, specie dopo l’annuncio del featuring di Ghostemane nel singolo “Cycle”. Ma a un ascolto attento, “Voyeurist” è l’ennesima riprova di quanto Gillespie e soci abbiano ancora fame. In questa ultima produzione abbracciano il loro lato più cupo, aggressivo ed elettronico (“Damn Excuses”, “Take a Breath”) senza dimenticare il versante radiofonico (“Hallelujah”, “Thorn”, “We’re All Gonna Die”) e dando ampio spazio ad esperimenti al limite del progressive (“Pneumonia”).
Fit For An Autopsy – Oh What The Future Holds
Nell’ormai stanchissimo deathcore contemporaneo, i Fit For An Autopsy sono tra i pochi in grado non solo di rimanere a galla, ma di avere ancora qualcosa di significativo da dire. Cementata la propria proposta con il precedente “The Sea of Tragic Beasts” (2019), non si poteva aspettare nulla di meno da “Oh What The Future Holds”. Nonostante la brutalità rimanga sempre il focus (prendete solo la title track), i Nostri hanno fatto loro il verbo dei Whitechapel (la quasi gojiriana “Far From Heaven”, “Two Towers”, “The Man That I Was Not”), che insegna che l’ammorbidimento è una delle tecniche per cercare di uscire dal pantano.
Shadow Of Intent – Elegy
Feroci, spietati, tremendamente tecnici e a tratti magniloquenti: gli Shadow Of Intent sono l’altra faccia del deathcore, quella più brutale, in cui le poche concessioni alla melodia sono meramente propedeutiche alla narrazione. “Elegy” è il quarto full-length della band statunitense, e come si può intuire da quanto appena scritto, si muove su un sentiero parallelo a quello di molti colleghi (uno dei quali, Phil Bozeman dei Whitechapel, fa pure un’incursione in “Where Millions Have Come To Die”), sposando soluzioni strumentali/sinfoniche (“Life Of Exile”), contrapposte a una ferocia di altri tempi (“The Coming Fire”).
Comeback Kid – Heavy Steps
Si capisce tutto fin dalla title track: in questo album, così come in tutta la produzione dei Comeback Kid, troverete refrain killer, reminiscenze thrash, (melodic) punk hardcore, velocità folle, sudore, genuinità, rabbia. Insomma, se siete alla ricerca di novità cambiate disco. Anche in “Heavy Steps” Andrew Neufeld e soci tornano a farci morire dalla voglia di pogare e cantare a squarciagola senza reinventare un bel niente, ma essendo semplicemente se stessi (“No Easy Way Out”, “Everything Realates”). Segnaliamo Joe Duplantier dei Gojira in “Crossed”, tra i pezzi più pesanti di “Heavy Steps”.
Pridelands – Light Bends
Gli australiani (guarda un po’) Pridelands arrivano al debutto discografico con “Light Bends”, un lavoro che mette tantissima carne al fuoco. I ragazzi sono delle vere e proprie spugne, in grado di cogliere spunti da tutto il -core attuale (Thornhill, Architects, Annisokay, Our Hollow Our Home, …), risultando spesso un po’ confusi e acerbi (“The Walls”), non essendo ancora completamente in grado di amalgamare e personalizzare il tutto. In questo tripudio di melodic progcore, metalcore, biebercore (“Safer Here”), elettronica sognante (“Evergrowth” ricorda molto Sleep Token) si distinguono “The Lake of Twisted Limbs” e “Parallel Lines”.