Dischi
The Heavy Countdown #158: Ghost, Allegaeon, Wolves At The Gate

Ghost – Impera
Morto un Papa (anzi, un cardinale in questo caso) se ne fa un altro, e i Ghost danno alle stampe un disco che supera di livello il già grandioso predecessore “Prequelle” (2018). Per farla brevissima, il riassunto estremo di “Impera” potrebbe essere arena rock (e a tratti anche metal) anni ’80 “at its finest”, nel quale l’opulenza asservita al progressive e alla psichedelia del passato di Tobias Forge e i suoi Nameless Ghouls volta gabbana verso una maggiore immediatezza del sound, un processo già iniziato con “Prequelle”, ma arrivato oggi al suo culmine, senza per questo banalizzarsi, anzi. L’effetto “già sentito” prende nuova vita in brani come “Kaisarion”, “Call Me Little Sunshine” e “Hunter’s Moon” (per non parlare della deliziosa “Griftwood”) in cui ogni elemento è al posto giusto, esattamente lì dove lo vorresti sentire, con un pizzico del solito pepe blasfemo che tanto deve alla fortuna dei Ghost quanto il fiuto infallibile di Forge.
Allegaeon – Damnum
Tech death è un’etichetta che è sempre stata troppo stretta agli Allegaeon, e lo sarà ancora di più dopo “Damnum”. La band originaria del Colorado include in questo nuovo capitolo della propria carriera aperture melodiche inaspettate, clean vocals ed elementi “-core” (vedi la opener), andando a insaporire ulteriormente una proposta già ricca di suo, tra finezze progressive, reminiscenze flamenco, e guitar work intricatissimi (“To Carry My Grief Through Torpor and Silence”). E in tutto questo, i Nostri hanno il pregio mica da poco di risultare concisi e immediati, con pezzi a modo loro “catchy” (“Of Beasts and Worms”), senza perdere un millimetro di spessore e sofisticatezza.
Wolves At The Gate – Eulogies
Il quinto full length dei Wolves At The Gate è un classico esempio di modern metalcore che non reinventerà nulla, ma che si lascia ascoltare ripetutamente grazie a un bilanciamento inappuntabile tra melodia ed aggressione (evidente già dalla opener e dalla title track). La formazione non disdegna qualche influenza nu metal (“Peace That Starts the War”), ma il feeling complessivo è decisivamente più contemporaneo (prendete l’elettronichina e i ritmi piacioni di “Kiss the Wave”, per non parlare di “Lights & Fire”, dove sembrano i fratellini dei Bring Me The Horizon) e molto emozionale (sarebbe meglio dire “heartfelt”, ascoltando brani tipo “Embracing Accusation”). C’è da dire però, che quando c’è da picchiare duro lo fanno senza remore (“Weight of Glory”).
The Body & OAA – Enemy Of Love
L’avvertimento è sempre lo stesso quando si affronta un nuovo disco dei The Body: approcciatelo solo se consapevoli di ciò a cui andrete intorno, ben consci del fatto che non può trattarsi di un semplice riempitivo da ascoltare mentre aspettate la metro. Questa volta, il duo di Portland che tanto ama le collaborazioni, unisce le forze con OAA, aka AJ Wilson, artista molto in vista nella scena postindustrial techno, per trascinarci in un pozzo di brutture striscianti, in cui anche il buio ha denti. I synth strombazzanti e le percussioni ipnotiche cozzano volutamente con le urla strazianti e insensate trademark dei Nostri (“Hired Regard”) e con le chitarre distorte (“Fortified Tower”), in un mix in cui a brillare in modo particolare è proprio il contributo di OAA.
Diablo – When All the Rivers Are Silent
Per il settimo album i finlandesi Diablo tornano alle proprie origini, letteralmente, dopo, senza neanche farlo apposta, sette lunghi anni di silenzio. Uno dei fiumi cui si accenna nel titolo infatti, è il Kalajoki, corso d’acqua che scorre nella madrepatria del cantante e chitarrista Rainer Nygård, del collega alle sei corde Marko Utriainen e dei propri compagni di avventure. “When All the Rivers Are Silent” è un’opera compatta e granitica che i fan della prima ora, da sempre avvezzi ai lunghi silenzi e alle uscite discografiche non proprio frequenti del combo, non potranno non apprezzare, trascinandosi con sé pure qualche nuovo accolito (grazie a pezzi potenti come i singoli “Grace Under Pressure”, “The Stranger”, la title track o la tipicamente outlaw metal “Shackles of Fear”).