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Bad Religion, il report del concerto a Milano del 22 giugno 2022

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Abbiamo atteso due anni per poter celebrare degnamente il quarantesimo compleanno dei Bad Religion. Un traguardo che pochissime band al mondo possono vantare (specie nel punk rock), ma che ha trovato il suo degno compimento durante la seconda tappa italiana del tour europeo di Greg Graffin e soci, svoltasi lo scorso 22 giugno all’Alcatraz di Milano.

Con quattro decenni di carriera alle spalle, diciassette album in studio, svariate altre produzioni e un numero imprecisato di esibizioni in tutto il mondo, i Bad Religion hanno deciso di giocare facile proponendo una scaletta da greatest hits che ha accarezzato tutte le fasi della vita dei Nostri. Una vita che spesso non è stata semplice e ha visto tantissimi avvicendamenti in line-up, ma che non ha mai impedito alla formazione di andare avanti a testa alta, portando con fierezza lo stendardo del punk rock melodico del quale il combo losangelino è uno dei maggiori e storici esponenti. Ma andiamo con ordine.

Nonostante gli anni che passano e l’inevitabile appesantimento, i BR non hanno perso un grammo del proprio carisma e continuano ad aizzare le folle come ai vecchi tempi. Partendo in quarta con “Generator”, ma ancora di più grazie alla tiratissima “Recipe For Hate” e “New Dark Ages” (titolo anche oggi azzeccatissimo per il periodo che stiamo vivendo, come ha tenuto a sottolineare lo stesso Graffin) il set dei californiani è filato liscio come l’olio, in un singalong continuo del pubblico che di certo non si faceva pregare nei botta e risposta con il palco. Tra i momenti più coinvolgenti, giusto per isolare una manciata di episodi, non posso non citare “Punk Rock Song”, “Los Angeles Is Burning”, “Suffer”, la liberatoria “Fuck You”, “Sorrow”, brani tratti da album tra loro molto lontani nel tempo, ma riprova dell’importanza seminale e attuale che la band continua ad avere. Vera chicca la tripletta “Atomic Garden”, “You” e “Infected”, tratte rispettivamente da “Generator” (1992), “No Control” (1989) e “Stranger Than Fiction” (1994).

In una formazione molto compatta, almeno per come si presenta sul palco, i veri mattatori sono stati ovviamente Graffin, che ormai è considerato lo zio (o il padre) putativo di molti punk di oggi, e il bassista Jay Bentley, in grado di mangiarsi lo stage con le sue pose (chissà da chi avrà mai imparato Mike Dirnt dei Green Day) e i suoi backing vocals.

Come da buona tradizione, i Bad Religion non hanno bisogno di chissà quali effetti speciali per intrattenere i fan, in quanto il focus è sempre stato la musica, i testi, i cori, il crowdsurfing selvaggio. In un Alcatraz molto impallato (ho incontrato addirittura parecchi turisti stranieri, statunitensi soprattutto, che forse per respirare un po’ di aria di casa in terra straniera, si sono concessi una serata in compagnia dei propri connazionali sul palco) non sono quindi mancate le tipiche scene che ti aspetteresti a un classico concerto dei Bad Religion, che sia all’aperto o indoor. In fondo, “This is just a punk rock song”, no?

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