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Interviste

Marco Di Noia racconta Milano e i suoi mille volti

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Marco Di Noia è fuori con il nuovo brano ideato con gli studenti della Scuola di Design del Politecnico di Milano. Dopo gli innovativi progetti discografici “Elettro Acqua 3D”, “Leonardo da Vinci in pop” e “La sovranità dei robot”, Marco Di Noia torna con “CAMILLEVOLT”, risultato musicale di un progetto di ricerca universitaria con la Scuola di Design del Politecnico di Milano. Scritta dallo stesso di Noia e arrangiata da Alberto Cutolo, “CAMILLEVOLT” rappresenta la conclusione di una ricerca che ha visto il cantautore milanese collaborare con i giovani designer del Laboratorio EDME della Scuola di Design del Politecnico di Milano al fine di creare una nuova e contemporanea maschera carnevalesca del capoluogo lombardo, sul modello della Commedia dell’Arte. La figura protagonista del brano, battezzata dagli studenti “Camillevolt” (che ispirandosi al dialetto milanese vuol dire “che ha mille volti”), ritrae una Milano caleidoscopica e frenetica, intersezione di suoni, colori e personaggi stereotipati.
«“Camillevolt” è una canzone figlia di un affascinante processo creativo condiviso – spiega Marco di Noia – Mi piaceva l’idea di partire dalla Commedia dell’Arte, come forma di spettacolo tradizionale in grado di raccontare l’Italia e le nostre città, ed arrivare ai nostri giorni, guardando, in questo caso, la città di Milano, con gli occhi di giovani studenti e utilizzando le forme descrittive del Design. È un progetto sperimentale in cui la canzone è parimenti considerata come forma di espressione artistica e mezzo di divulgazione culturale e ricerca scientifica».

“CAMILLEVOLT” i tanti volti di Milano, i tanti volti di tante città Italiane e non. È un’analisi, una critica o un testo di semplice constatazione del panorama della vita di oggi?

Il testo è ispirato alla città di Milano, vista e descritta dai giovani designer del Politecnico, attraverso una metodologia di analisi etnografica. Ho cercato di mettere in versi i moodboard e gli elaborati multimedialim che i ragazzi mi hanno consegnato, al fine di scattare un’istantanea del capoluogo lombardo, attraverso lo sguardo di giovani, che non sono originari di Milano, ma che la vivono quotidianamente per ragioni di studio. Ciò premesso, per quanto io abbia provato a essere distaccato, la mia visione della città – in cui sono nato e in cui vivo – ha bilanciato la loro, contribuendo, spero, a una descrizione realistica della Milano d’oggi. L’obiettivo era sicuramente più analitico che critico.

La scelta di far nascere questo progetto collaborando con la Scuola di Design del Politecnico di Milano è stata una scelta mirata o è nata strada facendo?

Quest’avventura artistica è nata a seguito di un invito a presentare l’EP “La Sovranità dei Robot” al Laboratorio EDME del Politecnico. Nell’occasione, dopo essere stato intervistato dal prof. Luca Fois, sono stato accompagnato a fare il giro dei laboratori di sartoria, falegnameria e fotografia dell’ateneo. L’esperienza è stata affascinante e di grande ispirazione e, inoltre, mi ha dato modo di conoscere il vulcanico professore Mario Bisson e la professoressa Stefania Palmieri, con cui è nato questo progetto.

So che il punto di partenza per questo brano è stata la Commedia dell’Arte. Idea geniale e creativa in maniera davvero particolare. Perché proprio la Commedia dell’Arte?

Per varie ragioni. Innanzitutto, come già fatto per Elettro Acqua 3D, che univa 3D audio a sintetizzatori rari, o per La Sovranità dei Robot, a cui hanno partecipato i robot iCub e Teotronico, ho ricercato una tematica interessante da studiare, principalmente per unire la piacevolezza di ampliare la mia conoscenza all’espressione artistica. Dunque, ho pensato che la Commedia dell’Arte, oltre a essere una tematica coinvolgente, potesse ben coniugare design, musica e tradizioni locali. E di fatto, personaggi carnevaleschi tradizionali come il nordico Arlecchino o il partenopeo Pulcinella hanno costumi iconici – in un certo senso paragonabili a opere di design – sono peculiari di specifiche città italiane e prendevano vita nelle strade, tra musiche e feste. In aggiunta, il progetto sposa tradizione e modernità, in un mix che personalmente trovo

intrigante e originale.

Le registrazioni dei rumori di macchine da cucire, fresatrici, presse, flash fotografici ed altri macchinari che ci portano dentro le varie industrie della moda e del design vengono messe in musica con sonorità rock-elettronico. Non credo che però ti si possa inserire in un particolare filone musicale. Le tue sperimentazioni ti fanno oscillare sopra tutto ciò che è etichettato. È Sempre stato così o c’è stato un momento in cui eri portato verso un genere musicale o l’altro?

Quando dopo i 20 anni scoprii di possedere doti vocali particolari presi a interpretare canzoni di altri, di vario genere: rock, hard rock, power metal, musical e anche opera. Tuttavia, sin dai primi progetti originali, di matrice cantautorale, mi sono scoperto via via sempre meno etichettabile, con i vantaggi e gli svantaggi che ciò comporta. In tutta sincerità, non è stato un percorso studiato a tavolino, bensì un processo del tutto naturale, guidato dalla libertà di voler essere espressione di me stesso e del mio contesto culturale.

Caleidoscopica e frenetica è così che vedi la musica in questo momento?

Al contrario, vedo la musica dei nostri giorni piuttosto uniformata su standard volti a trasformare gli influencer del web o della tv in potenziali artisti, e non viceversa. Purtroppo non è più il contenuto a vendere, bensì la forma. Molte proposte artistiche non sono altro che un rimescolamento di quanto fatto in passato, rivestito di pseudo-originalità al solo fine di fare presa sui giovanissimi, con la sicurezza di generare entrate monetarie. Ma questo è marketing dell’intrattenimento, non è arte. Di frenetico c’è anche il contorno: ovvero il marketing digitale al costante inseguimento di visualizzazioni e like, le forme di promozione che devono adeguarsi al trend o alla piattaforma social del momento, e persino i talent show che ogni anno sfornano celebrità dall’obsolescenza programmata. Quello è sicuramente un mondo caleidoscopico, in cui è facile perdersi o, peggio ancora, bruciarsi.

Gli stereotipi ti danno fastidio?

La tendenza alla creazione di stereotipi in sé non mi infastidisce, perché la percepisco come un naturale strumento della conoscenza umana utile ad avvicinarsi a ciò che non si conosce ancora. L’essere reso prigioniero di uno stereotipo è invece decisamente più fastidioso. Così come, in campo musicale, lo sono certi limiti imposti da sensibilità che non sono certamente artistiche, come, ad esempio, i limiti d’età per i cantanti emergenti. Come se l’arte reale avesse una data di scadenza. Tra l’altro è un dogma meramente legato alla musica leggera, dato che la storia dell’arte è piena di pittori sbocciati in età matura, a cominciare da Van Gogh, che iniziò a dipingere a 27 anni. Purtroppo il mondo musicale è troppo legato alle dinamiche commerciali e troppo poco a quelle artistiche. Non c’è molto interesse per l’artista, il suo processo di maturazione e ciò a cui questo può portare; agli “addetti alla cultura” (cit.) interessa maggiormente quanto un determinato personaggio sia in grado di attirare folle di teenager ai firma-copie, magari semplicemente grazie a una bella presenza o a un look particolarmente eccentrico.

Nel 2019 portasti gli strumenti ideati da Leonardo Da Vinci a suonare con quelli moderni, credo per la prima volta in assoluto. Credo una delle cose che più mi ha affascinato in assoluto. Come sei riuscito a realizzare questo progetto?

Sì, credo sia stata la prima volta in assoluto che questi strumenti musicali abbiano suonato in un album di musica non rinascimentale. L’idea è nata dalla volontà di dedicare a Leonardo un EP che parlasse sì dell’artista e dell’inventore, ma anche dell’uomo con le sue debolezze e i suoi timori. Così, a visione germogliata, ho proposto il progetto ad Adriano Sangineto, che lo ha sposato con entusiasmo, suonando l’organo di carta, la piva a vento continuo e la viola organista ricostruiti dal padre Michele, a partire dai progetti originari del genio italiano. Una curiosità a riguardo: nei videoclip di “Stella del Pop” e de “L’Uomo Vitruviano (3D version)” è presente anche il “cammeo” della lira a teschio di cavallo, che Michele Sangineto ha costruito per il film di Luca Argentero su Leonardo.

In un brano “Stella del Pop” canti che oggi Leonardo sarebbe una stella del pop, pensa che io me lo sono immaginato come uno degli uomini più rock della storia. Perché proprio pop?

Leonardo è stato sicuramente rock, avendo egli infranto gli schemi e le aspettative di molti suoi contemporanei. Nel mio brano cito la fortuna commerciale di alcune sue opere che sono diventate moderni oggetti di merchandising, spunto per best-seller o per rielaborazioni da parte di altri artisti. L’ho visto come una stella del pop, ma avrebbe potuto tranquillamente essere una stella del rock, essendo entrambi generi di massa, che era poi il concetto a cui volevo arrivare. Nella fattispecie, ho scelto la parola “pop” al posto di “rock” perché avevo in mente la Colored Monalisa di Andy Warhal, re della Pop Art. Anche qui una curiosità: all’atto di scrivere il testo mi sono inventato una serie di “gadget” con opere di Leonardo, che poi ho scoperto esistere realmente, tanto da riuscire a trovarli tutti su Amazon ed inserirli nel videoclip del brano. A riprova che se oggi Leonardo fosse vivo sarebbe una delle star più popolari del pianeta; situazione che, purtroppo per lui, non potette sperimentare in vita, quando era più che altro noto come regista di spettacoli teatrali e pittore dallo stile sperimentale, inizialmente messo in discussione dai suoi stessi committenti.

Quanto i tuoi studi hanno influenzato le tue composizioni?

I miei studi di dottorato sulle tracce mitologiche e letterarie nelle opere di JRR Tolkien sono entrati direttamente in un solo brano, che s’intitola “L’ultima marcia degli Ent”, dove esprimo il pensiero ecologista del professore oxoniense. In senso più ampio, devo ai miei percorsi di studio l’assimilazione di una metodologia di ricerca e la predisposizione all’ipertestualità dei testi, che spesso doto di più livelli interpretativi.

E quanto lo ha fatto Milano?

Milano lo ha fatto a 360 gradi. Sono milanese e, salvo che per sei mesi di studio nel Regno Unito, ho sempre vissuto a Milano, e precisamente nel quartiere San Siro. Sono nato avvolto dall’estetica, dalla parlata e dai ritmi di questa città, che offre grandi possibilità a chi le sa cogliere. Milano apre ai suoi figli le porte di molte conoscenze attraverso molteplici e rinomate biblioteche, mostre artistiche d’eccellenza e concerti con star internazionali. Da questo punto di vista è praticamente autosufficiente. Persino il non aver il mare è di forte influenza artistica, in quanto ti lascia nel cuore quella voglia di immensità che ti spinge a cercarla, nel mio caso, attraverso esplorazioni di nuovi mondi sonori.

Qualche nuovo progetto musicale in cantiere?

Con i Laboratorio EDME del Politecnico contiamo di replicare il lavoro fatto per Camillevolt in altre città italiane, per arrivare a nuove maschere carnevalesche e brani dedicati ai principali centri cittadini che ospitano scuole di design. Circa un mese fa io e il mio team siamo stati a Palermo, dove gli studenti dell’Università ci hanno presentato i loro lavori e la nuova maschera palermitana, accompagnandoci anche per mercati e vie del centro a registrare i suoni caratteristici della loro città. Inoltre, sto lavorando ad alcune canzoni con il grande Piero Cassano, membro fondatore dei Matia Bazar e storico compositore musicale di successi per Eros Ramazzotti, Anna Oxa, Mina e via dicendo. Sto anche incontrando un artista iconico del rock alternativo italiano, con cui probabilmente inizierò a collaborare, anche se al momento non posso rivelarvi niente. Infine, sono reduce da un concerto sperimentale alla Fabbrica di Lampadine di Milano dove, con la mia band rock elettronico, ho duettato con il robot-pianista Teotronico, gli strumenti leonardeschi di Sangineto e cantato alcuni brani in 3D audio all’olofono. La speranza è di riuscire a circuitare questo particolare concerto, principalmente tratto da Elettro Acqua 3D, Leonardo da Vinci in Pop e La Sovranità dei Robot.

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