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E-Wired empathy: usare la musica per raccontare storie

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Gli E-wired empathy, collettivo di musicisti che vede Luca Nobis alla chitarra, Roberto Gualdi alla batteria, Giovanni Amighetti ai synths analogici e la collaborazione di numerosi altri artisti, si sono esibiti il primo luglio a Milano, e hanno pubblicato da poco “Bembeya”, che segue il disco Play@Esagono Vol.1. “Bembeya” è un pezzo del griot del Burkina Faso, Gabin Dabiré, che lo ha registrato con Daminic Miller e Pino Palladino: il collettivo E-wired empathy ha cercato di mantenerne lo spirito e il carattere originale, senza rinunciare alla propria sonorità.
“Bembeya è una canzone originariamente registrata da Gabin Dabiré, storico “griot” originario del Burkina Faso in collaborazione con Dominic Miller e Pino Palladino – affermano Giovanni Amighetti e Luca Nobis – Nel nostro approccio alla reinterpretazione del brano abbiamo cercato di preservarne il carattere originale e l’essenza. Valerio Bruno si dimostra molto libero nella sua esecuzione del basso, apportando una fluidità e una creatività notevoli al brano. L’Arp Pro Soloist, invece, si fa carico dei contrappunti melodici, aggiungendo strati di suoni che si intrecciano armoniosamente. Così come il Roland JX. Luca, d’altra parte, espande l’arrangiamento con arpeggi ostinati che sono sempre ispirati e di grande impatto”.

Domanda che viene spontanea davanti ad ogni collettivo: come vi siete incontrati, come mai avete deciso di suonare insieme, e come vi siete avvicinati al pezzo di Gabin Dabiré? E che differenza c’è fra il suo modo di vedere la musica come modo di registrare e raccontare la storia e le storie del suo popolo con il nostro modo? 
(Giovanni Amighetti – E-Wired Empathy) Ciao Valentina e grazie per questa domanda che mi permette di commemorare Gabin che purtroppo ci ha lasciato da poco ed era stato forse il più influente divulgatore della musica africana in Italia sin da metà degli anni ’70.E-Wired ci siamo incontrati durante il periodo covid, vedendo che riuscivamo a realizzare musica meglio con un approccio spontaneo e diretto. Non portavamo brani o composizioni, suonavamo direttamente in studio e poi sul palco realizzando musiche che ci sembravano di buon livello e più vive grazie a questa modalità. Il nucleo centrale del progetto siamo stati io e Luca Nobis, si sono quindi aggiunti Petit Solo Diabate, Valerio Combass, Roberto Gualdi, Jeff Coffin, Fiorenzo Tassinari, Moreno Conficconi, Gasandji, Giulio Bianco ed altri.
Gabin Dabiré lo conoscevo dagli anni ’90, lavoravamo assieme per Intuition lui aveva un disco con Manu Katché e Pino Palladino, io con Ayub Ogada e Helge A. Norbakken. Ci siamo poi ri-incontrati ad inizio anni 2000 e da lì ci siamo messi a lavorare assieme su progetti sia in studio, tra cui i Fermi Paradox con David Rhodes, che live.
Riguardo ai quattro brani che Gabin ha portato per l’album “E-Wired Empathy” abbiamo semplicemente tenuto il suo approccio spontaneo a quei brani, la sua esecuzione live, sul quale abbiamo costruito colori con i synths e parti minimali di strumenti a corda da parte di Luca Nobis. Quindi Valerio Bruno ha aggiunto parti di basso piuttosto articolate. Sicuramente nel suo modo di esprimere i testi si sente un voler e forse dover portare avanti un intero approccio culturale, il testo e la voce fanno da veicolo ad una necessità di esprimere e divulgare concetti e modi di esistere, in un certo senso sono sentiti come se si creassero da soli, come se ci fosse una forza che li realizza attraverso Gabin e li renda concreti con la sua voce. Un approccio simile si sentiva anche con Ayub Ogada, un griot Luo con il quale suonavo negli anni ’90. Nel video di “Bembeya” di Gabin, registrato live in studio allo studio Esagono di Rubiera, credo si noti sia la sua profondità nell’approccio locale sia la nostra spontaneità nell’esecuzione a nostra volta trascinati dalla sua voce. Il video é stato realizzato da Luca Fabbri.

Restiamo sul tema: ma poi, sono modi diversi per davvero di vedere la musica e il racconto? Magari la cosa che cambia è l’importanza che diamo alla figura che canta e scrive la musica? Ovvero: che differenza c’è fra un griot e un cantautore?
Dipende dai cantautori, il griot ha la necessità e in qualche modo il compito di esprimere con la sua voce e le sue parole quindi in modo emozionale i valori della sua gente ed essere di fatto un guida che tramanda la tradizione orale e la adatta al tempo corrente.
Un cantautore quando fa lo stesso è molto vicino al griot, penso ad alcuni lavori di Fabrizio De André o Bob Dylan, mentre diviene semplicemente un autore di canzoni quando l’approccio è più astratto o forzatamente tematico.

Avete usato anche l’intelligenza artificiale per questo pezzo: come funziona? Che apporto ha dato? Abbiamo utilizzato l’AI in due brani di E-wired empathy a completare i suoni che prendevano vita dal chiudere il circuito su un cavo jack “nudo”.
Che apporto ha dato, qualcosina di estetico ma niente di trascendentale. Credo che in campo musicale l’AI sia in genere ancora poco interessante, tende ad essere poco essenziale, l’essenzialità é invece una caratteristica della musica di qualità in genere. Mentre ha fatto passi da gigante sia riguardo l’interpretazione e creazione dei testi sia soprattutto in campo visivo. La nostra copertina è stata realizzata con l’AI ad esempio.

Secondo voi la musica popolare italiana, che siano i canti di lotta o quelli dei contadini, è un po’ la nostra versione dei griot?
Sì nel momento in cui tramanda ed allo stesso adatta al contesto contemporaneo la cultura e l’etica delle popolazioni. Un altro campodove può ricordarla è che in genere i canti popolari italiani sono nelle lingue vive di quei territori, i cosiddetti dialetti, e non si adattano invece ad una lingua nazionale che era stata di fatto imposta dall’alto. Basti pensare ad oggi ai canti salentini o sardi. Allo stesso modo i canti dei griot sono nelle loro lingue d’origine e non nelle lingue “nazionali” che poi spesso erano state importate dall’estero e manco venivano da quella nazione.

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