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Interviste

LA TIGRE – Orgoglio e passione underground

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La Tigre - Foto di Alberto Pankarpos

Il sottobosco del panorama underground italiano è ricco di band lontane dalle logiche degli algoritmi, delle visualizzazioni dopate, delle major, dei manager e dei produttori tendenti all’omologazione, che concepiscono ancora il fare musica come quella vecchia arte con cui quattro musicisti si incontrano ancora fisicamente, per il semplice piacere di proporre il loro sound e suonare ovunque capiti.

Spesso sono percorsi e progetti destinati ad implodere o, a volte, a durare nel tempo, sostenuti esclusivamente dalla passione. È il caso, quest’ultimo, dei La Tigre, una band comasca di matrice punk rock, nata dalle ceneri dei Maradonas, che ha prodotto dal 2013 ad oggi due album e tre EP (tra cui l’ultimo ottimo “Gli ultimi 4 anni”, uscito a febbraio 2025) e che non ha alcuna intenzione di fermarsi.

Di seguito il resoconto di una piacevolissima chiacchierata con il frontman della band, Michele “Lino” Vuolo, basso e voce, che è accompagnato in questa avventura dai fedeli Daniele “Dancan” Nava (chitarra e cori), Luca “Boss” Rossini (anche lui chitarra e cori) e dall’ultima arrivata, Martina Palermo, alla batteria.

– Allora Lino, come sono stati questi ultimi quattro anni… davvero un inferno?

Dal punto di vista personale sono stati davvero intensi! Mi sono capitate un sacco di cose belle e brutte allo stesso tempo. Dal punto di vista musicale, invece, sono stati anni positivi perché abbiamo scritto tanti pezzi che ci piacciono e di cui siamo orgogliosi. Inoltre, circa due anni fa, è entrata nella band Martina, che ha dato nuovi stimoli a tutti.

– Come nasce il progetto “La Tigre”?

La Tigre nasce esattamente dove finiscono i Maradonas, band di cui ho fatto parte dal 1997 al 2010. L’esperienza con i Maradonas per me è stata indimenticabile: abbiamo fatto un sacco di date, suonato ovunque, registrato i primi dischi della mia vita. Siamo stati prodotti dai Derozer, abbiamo girato con loro, con le Pornoriviste, con gli Impossibili e tante altre band di quel periodo florido per il punk rock italiano. Poi ci siamo sciolti perché ognuno aveva i suoi progetti personali, e il nostro batterista lavorava all’estero, quindi era difficile incontrarsi. Così è nata La Tigre, con altri nuovi e preziosi musicisti oltre al sottoscritto. Devo dire che la direzione sonora di questo progetto ha virato maggiormente sul rock rispetto al punk nudo e puro del passato.

– Quali sono le influenze musicali che ti hanno ispirato nella tua formazione e che oggi ispirano i vari componenti della band?

A me hanno sempre ispirato band americane come i Ramones, sopra tutti, i Misfits, Screeching Weasel, The Queers, ma anche gruppi scandinavi come i Turbonegro, The Hellacopters o i Millencolin. Influenze del nostro paese, invece, ne ho poche. Il Boss ascolta più hard rock, Black Sabbath su tutti. Duncan, che è la mente più aperta del gruppo a livello di gusti musicali, spazia dal classico come Bob Dylan al contemporaneo. Martina invece si ispira ai classici del punk rock come Green Day, The Offspring, e a roba più recente.

A proposito di Martina, che ha solo 18 anni. Cos’ha portato la sua presenza in termini di entusiasmo o di responsabilità che voi “senior” sentite nei suoi confronti?

Lei ha iniziato a suonare con noi quando aveva 16 anni, così, per caso… Devo dire che ci trasmette solo il grande entusiasmo di chi ha quell’età lì, come giusto che sia, ma anche la tecnica di chi lo fa da almeno 9 anni. È una ragazza matura, che sa cosa fare e che assorbe tutto come una spugna. Anche i suoi genitori ci hanno dato il benestare per farla suonare il più possibile. Viene da ridere che loro abbiano circa la mia età!

Che rapporto hai con il posto in cui viviamo, la Brianza, in cui il focus della gente è quasi esclusivamente orientato al lavoro pratico, e il parlare di progetti musicali o artistici viene visto come un’inutile perdita di tempo o come qualcosa di futile e marginale?

Viviamo in un territorio in cui, per come dici tu, suonare sembra una perdita di tempo. Nel Nord Europa, per esempio, lo Stato sovvenziona le band. I miei colleghi, per esempio, starebbero a lavorare anche 20 ore al giorno. Io invece vorrei avere molto più tempo, oltre a quello dedicato al mio lavoro che mi piace, da dedicare alla mia passione. Purtroppo tutto parte dal fatto che in Italia, in generale, e in questo territorio in particolare, la cultura musicale è a un livello bassissimo. Adesso ho notato che i ragazzi giovani che suonano sono pochissimi, sono diminuiti molto. A Cantù, dove proviamo, c’è una sala prove che è uno spazio condiviso con altre band. Negli anni ’90 la sala era sempre piena, facevi fatica a prenotare e a trovare il posto. Oggi forse questa difficoltà ce l’hai solo per prenotare il campo di padel. I progetti musicali sono diventati più individualistici, e ci hanno perso le band. È un po’ un sinonimo della società di oggi, anche dell’impegno che quasi nessuno si vuole più prendere, come quello di incontrarsi almeno una volta alla settimana, di persona. Dal computer di casa è tutto più semplice.

Quali sono le difficoltà che una band come la vostra, che si autoproduce e che non ha sovrastrutture, riscontra per trovare spazio e visibilità ?

Le difficoltà ci sono, perché se scrivi 100 mail ai locali per proporre la tua musica, rispondono in 3, se va bene, altri non rispondono nemmeno! Tanti gruppi si appoggiano solo alle loro agenzie, che hanno già i loro canali preconfezionati. Noi siamo del tutto indipendenti. Mesi fa abbiamo provato a scrivere ad un contest famoso di carattere nazionale, e ci hanno preso per entrare in gara. Leggendo il contratto, però, abbiamo scoperto che gli organizzatori sono tutti avvocati, e funziona così: ad ogni fase in cui si accede con votazione, aumenta in modo esponenziale il contributo che devi pagare, oltre ovviamente alla quota di iscrizione e alle spese per il pernottamento in hotel in caso di finale e/o trasferte. Ha senso tutto questo? Si gioca purtroppo sulla tua passione. Se fossi stato un ragazzino con il mio sogno da perseguire, che viene prima di tutto, avrei fatto il possibile per partecipare, ma a 45 anni non ci penso nemmeno! La storia funziona in questo modo, come in tanti altri ambiti artistici. Il mio pensiero è quello di non pagare mai per suonare.

Viviamo un periodo storico che segna la rinascita delle chitarre a livello mondiale. Senti che anche per il punk rock italiano, che ha avuto la sua epoca d’oro negli anni ’90, è il momento di riappropriarsi di uno spazio importante nel mercato discografico?

Sì, certo. Nella musica, così come nella moda, tutto va a cicli. Questo però è un fenomeno maggiormente internazionale, perché di band giovani italiane credibili che fanno punk rock ne vedo ben poche. Ad oggi ci sono ancora band come i Punkreas o gli Shandon presenti sulla scena con tour celebrativi e anniversari da festeggiare. Noi in Italia arriviamo sempre 4-5 anni dopo Gran Bretagna e Stati Uniti.

I vostri testi parlano di fughe, rinascite, sogni realizzati o infranti, necessità di evasione e vizi comuni… Da dove trovi maggiormente l’ispirazione?

Dalle storie reali che mi circondano, sia a livello sociale che individuale. Per esempio, “Bomba d’acqua” l’avevo scritta in seguito alle alluvioni in Liguria. “Gli ultimi 4 anni”, ahimè, è una storia vera: si tratta della sorella di mia moglie, che ha lottato contro un tumore ma purtroppo non ce l’ha fatta.
“L’amico Gio”, invece, era un nostro amico, il cantante dei Maestri. Lui cercava di sfondare e aveva tutte le carte in regola per farlo. Poi c’è stato un caso inspiegabile di suicidio. Questi due brani dell’EP li considero un omaggio alla loro memoria.

⁃ Quali sono i prossimi passi e progetti a breve per la band ?

Stiamo preparando il disco nuovo , che avrà 3 dei 5 brani dell’ep e almeno altre 8/9 canzoni. Il mio obiettivo a breve è che alcuni nostri pezzi, in particolare “Il ragazzo gioca in serie A” e “Al baretto dello stadio” devono raggiungere le orecchie della gente che va allo stadio a Como. Li avremmo un bacino di migliaia di persone. Voglio che la gente mentre ascolta una nostra canzone prima della partita si chieda,” Ma questi chi sono” ?

⁃ E fra 10 anni a che punto vedi il tuo percorso musicale ? A che punto sarete ?

Noi veramente viviamo giorno per giorno. Spero che avremo inciso altri bei dischi, di aver fatto tanti altri concerti e di divertirmi ancora come in questi 30 anni.

Te l’ho già detto che il brano “Gli ultimi 4 anni” è una hit? Fatene altre 9 così e il prossimo sarà l’album della vita….

Assolutamente si, promesso !


Intervista a cura di Stefano Quattri
Foto concessa da Alberto Olivotto


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