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ARCADE FIRE, PINK ELEPHANT – UN ALBUM MINORE MA NECESSARIO

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ARCADE FIRE - PINK ELEPHANT

E’ mancato tanto così !

Che quel satellite lanciato in orbita nel 2004 dal 9.7 di Pitchfork in grado di illuminare il cielo dell’alternative per i successivi 20 anni, si spegnesse improvvisamente per vicende che nulla avessero a che fare con ragioni musicali.

Ora, chi sta leggendo questa recensione, probabilmente sa già di cosa parliamo. Per chi ancora non lo sapesse, il riferimento è alle accuse di molestie sessuali rivolte a Win Butler, frontman e mente degli Arcade Fire, proprio a ridosso dell’uscita dell’ultimo album WE.

A rafforzare il peso di tutto ciò, arriva il titolo del nuovo lavoro e quell’elefantino di cera rosa piazzato al centro della stanza in copertina. Un riferimento diretto a ciò che in psicologia viene chiamato “teoria del processo ironico”, che ci fa capire che più ci viene detto di non pensare a qualcosa, più quella cosa ci invade la mente.
L’unica soluzione è metterci la luce sopra — nel caso specifico, una candela — e iniziare quel processo di elaborazione consapevole che porti al salvifico distacco.

Passando dalla luce metaforica a quella reale, ecco in aiuto Daniel Lanois. Producer di culto, fuoriclasse assoluto, capace di accompagnare artisti affermati oltre la loro zona di comfort, rivestendoli di una seconda e luminosa pelle. Gli U2 ne sanno qualcosa.

Si parte quindi da un intro strumentale alla Vangelis (saranno 3 in totale gli intermezzi Bladerunneriani), che ci catapulta appunto in un nuovo spazio temporale.

Il primo vero brano, che dà anche il titolo all’album, segue una struttura classica: un arpeggio delicato di chitarra, batteria cadenzata, e la voce cullante di Win, più contenuta e con meno strappi rispetto al passato.

E’ il testo a risaltare in primo piano “il modo in cui tutto è cambiato mi fa venire voglia di piangere, ma togliti dalla mente di me”.

Segue “The Year of the Snake”, primo singolo estratto  che fonde psichedelia, folk e l’indie più puro. Le voci di Win e Régine — ormai le due anime tutelari e creative della band — si intrecciano in un invito al cambiamento: “Se ti senti strano, è probabilmente un bene.”

Il magnifico video diretto da David Wilson e Mark Prendergast (omaggio stilistico a “1979” degli Smashing Pumpkins), segue i nostri in un viaggio onirico e lisergico tra il Mardi Gras di New Orleans, il rodeo di Houston e il ranch di Wille Nelson ad Austin.

Ci cono poi i 6 minuti di “Circle of Trust”, dove risaltano le tastiere a metà strada tra i Depeche Mode e “A Real Hero” dei College & Electric Youth (colonna sonora cult di “Drive”). Una canzone che grida voglia di fuga: “Seconda stella a destra, dritto fino al mattino. Scappiamo nella notte estatica.” citando Peter Pan o il nostro Edoardo Bennato (decidete voi).

“Alien Nation” invece ci ricorda gli Spiritualized più torbidi ed è il primo brano del lotto in cui vengono sciolte le briglie e si assiste ad una deflagrazione finale catartica, che dal vivo potrebbe condurci in mondi sonori sconosciuti e trascendentali.

Troviamo poi “Ride or Die”, il cui minimalismo spirituale omaggia il primissimo Devendra Banhart, mentre “I Love Her Shadow” a seguire è forse il brano più leggero e commerciale mai prodotto dalla band. Tra synth pulsanti in stile Reflektor/Everything Now, si mescolano qualità pop e una componente tamarra che, però, funziona: perfetta colonna sonora per la spensieratezza estiva ormai alle porte.
“Amo la sua ombra e amo la sua luce. Stiamo irrompendo in paradiso stasera”.

Il sipario cala con “Stuck in my Head”, oltre 7 minuti di mantra musicale, in cui una combo di chitarra in battere, un basso minmal e una batteria crescente, che sa tanto di U2, accompagna la frase Stuck in my Head ripetuta allo sfinimento fino ai 2 stop and go e finali. Brano quest’ultimo, l’unico, che avremmo potuto ritrovare per cifra stilistica in “Neon Bible”.

Tirando le fila, possiamo dire che si tratta in linea di massima di un album minore, lontano dalla epica delle produzioni precedenti (scordatevi di trovare una nuova “Rebellion”, una nuova “No Cars Go” o “Sprawl II”) ma di cui gli Arcade Fire, a questo punto della loro carriera, avevano maledettamente necessità.

Un atto di catarsi, forse. Un passaggio obbligato per affrontare le ombre e lasciare che la cera sciolta (si spera!) faccia sparire definitiva l’elefantino rosa.
Il retro copertina ce lo vuole dimostrare. Ora non resta che scoprire quale nuova pelle mostreranno nei prossimi capitoli.

TRACK LISTING:

  1. 1 OPEN YOUR HEART OR DIE TRYING
  2. 2 PINK ELEPHANT
  3. 3 YEAR OF THE SNAKE
  4. 4 CIRCLE OF TRUST
  5. 5 ALIEN NATION
  6. 6 BEYOND SALVATION
  7. 7 RIDE OR DIE
  8. 8 I LOVE HER SHADOW
  9. 9 SHE CRIES DIAMOND RAIN
  10. 10 STUCK IN MY HEAD