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Fabri Fibra al Castello di Este: La verità in rima
Se qualcuno, ma dico qualcuno, pensava che il rap fosse roba da ragazzini brufolosi con la felpa larga, sabato sera ad Este (PD) è stato servito un piatto di umiltà, condito con rime affilate e un beat che ti faceva battere forte il cuore. Fabri Fibra, signore e signori, ha messo il suo sigillo personale all’Este Music Festival, e l’ha fatto con la grazia di un elefante in un negozio di cristalli: ha lasciato il segno, e non sono solo scarabocchi.
Il 26 luglio 2025, il Castello Carrarese non era solo un castello. Era un ring, un confessionale, un dancefloor improvvisato dove la storia e la modernità si sono prese a pugni in faccia per poi abbracciarsi forte. Fibra è tornato, dopo un lungo silenzio discografico, e non ha deluso. Anzi, ha riconfermato una verità scomoda: quando uno è bravo, è bravo. E non c’è età, non c’è moda, non c’è niente che tenga. Il maestro è tornato, più affilato di un coltello appena temperato, e l’ha dimostrato.
Senza filtri, senza maschere
Dici Fabri Fibra e dici schiaffi. Schiaffi di realtà, schiaffi di verità, schiaffi che ti rimettono in riga. Sul palco di Este, ha ripercorso vent’anni di carriera, da “Applausi per Fibra” a “Tranne te”, da “Pamplona” a “Rap in vena”, fino ai pezzi più recenti di “Caos” e “Mentre Los Angeles Brucia“, disco d’oro e un certificato di autenticità che pochi possono vantare.
Niente lustrini, niente coriandoli, niente balletti da villaggio turistico. Solo lui, il suo microfono e dj Double S che gli stava dietro come un’ombra, ma un’ombra che spingeva, che picchiava. Fibra è così: te lo ritrovi davanti, ti guarda dritto negli occhi e ti spara la sua verità, senza chiedere permesso. Un animale da palco, uno che ti scuote, ti fa pensare, ti fa incazzare e alla fine ti fa cantare a squarciagola come se non ci fosse un domani. Nessuna concessione alla nostalgia facile, nessun tentativo di ruffianeria. Era lì per fare rap, e l’ha fatto, eccome.
Il rap trionfa
Il Castello Carrarese, con le sue mura che hanno visto battaglie e amori, si è trasformato in una cassa di risonanza per rime e beat. Crudo, diretto, a volte quasi sfrontato, ma sempre genuino. Le luci tagliavano la notte, il basso entrava nelle ossa e il pubblico… beh, il pubblico era in delirio. Si muoveva, cantava, saltava, come se il Castello stesso stesse ballando al ritmo di “Pamplona”. Sembrava quasi di sentire le pietre secolari che battevano il tempo, contente di ospitare una festa così.
L’Este Music Festival, dopo una sfilata di nomi da Mika a Venditti, da Anastacia ai The Kolors, ha trovato in Fibra il colpo grosso che ha anticipato il gran finale. Quello che ti lascia con un sorriso ebete e un orecchio che fischia, ma in senso buono. Perché se il festival ha abbracciato la musica in tutte le sue sfumature, Fibra ha rappresentato quel lato più ruvido, verace, quello che ti entra sotto la pelle e non ti molla più.
E tra la folla, un mix eterogeneo: chi ha consumato il CD di Tradimento e chi ha scoperto Fibra solo con l’avventura di Nuova Scena. Ma l’energia era una sola: un amore viscerale per un artista che non ha mai avuto paura di dire pane al pane e vino al vino. Anche quando faceva male.
Il verdetto?
Este ha avuto un privilegio, sabato sera. Non ha ospitato solo un concerto, ma una lezione di vita, un manuale di rap, un testamento musicale. Fabri Fibra ha acceso la miccia, e per una notte intera, il rap italiano ha brillato nel cielo veneto.
E ora, microfono giù, ma l’eco è ancora qui: “Sono fuori dal coro, fratello, ma sto bene così”. E anche noi, caro Fibra, stiamo bene così. Grazie.
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Foto di Enrico Dal Boni

