A noi di quel libro/film della sfiga frega nulla, preferiamo i pornazzi e storpiamo il titolo di Cinquanta sfumature blablabla. Detto ciò, per rientrare subito in clima natalizio, beccatevi una rapida raffica di recensioni di album (o pareri volanti per esser più precisi) che avremmo dovuto fare per tempo e non abbiam fatto. La copertina principale è dedicata ai vecchi leoni Deep Purple, autori con “Now What” di qualcosa di realmente inaspettato. Ma le robe belline sono state anche altre, tanto quanto le robe inascoltabili o addirittura ridicole. Il voto? E’ cumulativo, nel senso che tra porcherie e cose salvabili, il 2013 non è stato affatto un anno brutto. Intanto qui c’è tutto ciò che vi serve sapere sull’anno appena concluso…
A Day To Remember – Common Courtesy: sempre più pop punk con qualche breakdown e urlo qui e là. Sometimes You’re the Hammer, Sometimes You’re the Nail può essere un esempio efficace di quanto appena detto. A volte sembra di sentire i Fall Out Boy con i chorus dei Biffy Clyro con componenti metalcore. Benchè tutto ciò sembri un mischione senza senso, il miscelone funziona e, contrariamente alle aspettative, Common Courtesy funziona meglio del precedente (e disco della svolta) album. Voto 3.5.
Airbourne – Black Dog Barking: dopo essere impazziti per loro col debutto, ci avevano fatto cascare i maroni con un secondo album per nulla ispirato. Qui si torna in carreggiata, anche se i mid tempo rimangono comunque troppi. Loro devono viaggiare senza perdersi via in troppe robe cadenzate. Le brutte copie degli AC/DC? No delle buone copie che dal vivo spaccano tutto. Voto 3.
Asking Alexandria – From Death To Destiny: cercando di esplodere come fatto dai Bring Me The Horizon, gli AA puntano su ritornelli ruffiani ed elettronica sparsa su breakdown e clichè tipici del metalcore di plastica made in UK che tanto fa arrapare bimbe e bimbi frangettati. Funziona? Se non si cercano i nuovi Killswitch Engage (o A7X visto il ritornello di Death Of Me) sì, basta non ascoltarli troppo a lungo. Il lavoro comunque regge alla distanza, sorretto da una produzione bombastica come si conviene a prodotti simili. Voto 3.
Boston – Life, Love & Hope: Tom Scholz e compagni tornano nei negozi con un nuovo album undici anni dopo il precedente. Il disco è una palla di proporzioni colossali, Tom può continuare a campare di rendita senza problemi sulla (bellissima) doppietta degli anni Settanta, ed evitare di propinarci un cd che ha suoni ridicoli (la batteria??? Da faq???) e completamente fuori dal tempo. Meglio continuare a fare tour va’… Voto 1.
Candlelight Red – Reclamation: per chi è orfano del formulone riffone viulent’ e linea melodica zuccherosa, ecco il secondo dei Candlelight, direttamente dalla scuola Sevendust. Broken Glass fa effettivamente capire che potrebbe esserci della stoffa interessante dalle parti di Williamsport. Attendiamo le prossime mosse mantenendo un occhio di riguardo sui figlioli… Voto 3.
Cathedral – The Last Spire: Lee Dorian e compagni sono una sorta di istituzione per i metallari che hanno sulla trentina. Hanno difficilmente cannato un disco e sono tra gli esponenti migliori del filone doom e stoner. Con questo ultimo parto tornano alle proprie origini, rallentando tutto ciò che è possibile rallentare e ispessendo i pezzi al massimo, creando il muro di suono caratteristico che tanto ce li ha fatti amare in questi anni. Ci si vede all’inferno. Voto 3.5.
Chimaira – Crown Of Phantoms: della serie potevamo essere grandi e non invece no. I Chimaira sono stati tra i gruppi più violenti e innovativi nella scuderia Roadrunner, quindi sono passati sotto Nuclear Blast e…porca puttana se riesci a non uscire allo scoperto dopo esser stato sotto contratto con sti due colossi allora alla fine la colpa è tua. Per quanto possa essere apprezzabile la loro coerenza a livello di sound e la loro perizia esecutiva, mancano i pezzi o per lo meno la continuità. E nemmeno questo disco gli consentirà di fare un salto di qualità atteso oramai da troppi anni. Voto 2.
Dark New Day – Hail Mary: visti tutti i casini che hanno avuto in carriera i DND, è presumibile essere cauti ed evitare voli pindarici. Hail Mary è un onesto lavoro di alternative rock/modern rock made in US, anche se, per ovvi motivi, abbastanza fuori tempo massimo. Onesto e carino per chi ama il genere, superfluo per tutti gli altri. Voto 3.
Daughtry – Baptized: salutiamo ufficialmente anche questo buonissimo cantante, salito alla ribalta dopo un piazzamento a un talent americano. Evidentemente Chris si è reso conto che l’hard rock non paga e si è quindi buttato su un ibrido elettro pop che lascia davvero perplessi. Volendogli bene e seguendolo sin dagli inizi, non possiamo far altro che augurargli ogni bene, nonostante Baptized sia una ciofeca di proporzioni epiche. Voto 1.
Deeds Of Flesh – Portals To Canaan: le potenzialità della band di Erik Lindmark erano già chiarissime a inizio millennio. Giunti all’ottavo disco la sostanza non cambia: eccellenza brutale e tecnica disumana per un album letteralmente spaventoso, che non lascia tregua dall’inizio alla fine. Tra i numeri assoluti da almeno un decennio e già nella storia del genere con pieno merito. Voto 5.
Deep Purple – Now What?!: se loro stessi definiscono questo album il migliore dai tempi di Perfect Strangers…bè c’è poco altro da fare che ascoltarlo e godersi i Purple ispirati come davvero non capitava da tempo.Tanto funky e tanto jam session style per un disco che fa sospirare e lascia sensazioni positive per tutta la sua durata. La classe non si compra. Voto 4.
DevilDriver – Winter Kills: Fafara è un onesto mestierante, i suoi DevilDriver oramai timbrano il cartellino da anni, confezionando dischi che sono sì delle palate della madonna ma che lasciano poco nella memoria collettiva a livello di pezzi. Winter Kills va benissimo per trovare qualcosa che spezzi tutto e che abbia un muro di suono importante, ma nel metallone moderno americano con tanto groove e thrashcore c’è oramai poco da inventare. Voto 3.
Devour The Day – Time & Pressure: gli Egypt Central non è che fossero poi sta band disumana, anzi. Tuttavia i loro pezzi erano buoni riempitivi una tantum. Il fatto che i Devour siano stati messi in piedi da due degli ex Egitto potrebbe essere un buon segnale, per lo meno come base di partenza. Il problema è che Time & Pressure non decolla mai, puntanto su una produzione ridicola (sentite Move On e ditemi se si può fare un obbrobrio simile) e su una proposta a metà tra alternative e rock moderno americano già sentita in ogni salsa. C’è ancora parecchio da lavorare. Voto 1.5.
Dream Theater – Dream Theater: sebbene in molti non abbiano mai digerito tutta la fase post Six Degrees, i Dream Theater sono riusciti dopo diversi anni a pubblicare un album godibile dall’inizio alla fine, con melodie d’impatto, pezzi diretti e talvolta tutt’altro che intricati. Ovvio che se confrontati ai dischi top dei Novanta, The Looking Glass o The Bigger Picture o ancora Behind The Veil scompaiono letteralmente. Contestualizzando meglio, senza farsi abbindolare dalla bava alla bocca da fan tradito, siamo di fronte al miglior disco dei Nostri da una decina d’anni a questa parte. E non è poco. Voto 3.5.
Eve To Adam – Locked & Loaded: bè insomma solito modern rock americano bello pompato con melodie e cantante che graffia. Una band simpatica ma che è assolutamente nella norma, oggigiorno per sfondare serve altro. Piaceranno sicuramente ai fan di Halestorm e Skillet, giusto per sparare un paio di nomi contemporanei. Onesti ma nulla più. Voto 3.
Five Finger Death Punch – The Wrong Side of Heaven and the Righteous Side of Hell, Volume 1 & 2: nonostante tutto hanno dei meriti. Riuscire a emergere e spararsi degli arena tour negli States e farsi lentamente apprezzare anche in Europa non è roba da nulla. Che poi la loro proposta stia diventando sempre più stantia anno dopo anno non è più una novità ma, come si dice, squadra che vince non si cambia. Quindi giù di groove testosteronico con doppia cassa a elicottero, melodie pacchiane nei refrain e qualche ballad sofferta e arrabbiata sulle sfighe della vita. Meritano comunque rispetto, non è da tutti arrivare così su su Billboard. Voto 3.
Gemini Syndrome – Lux: sono soprattutto belli questi. Cercatevi qualche foto per capire ciò che intendiamo. In Lux ci sono parecchi echi di Disturbed e, più in generale, di quel sound nu metal / alternative che tanto andava di moda a inizio millennio. Che siano fuori tempo massimo è abbastanza un dato di fatto, resta la realtà, ovvero quella di un lavoro che si lascia ascoltare piacevolmente. Attendiamo i prossimi passi. Voto 3.
Geoff Tate – Frequency Unknown: la telenovela tra Geoff e gli ex amici dei Queensryche è stata una delle cose più patetiche del 2013. In realtà patetici erano oramai i ‘ryche, incapaci di dare continuità a un successo affievolitosi inevitabilmente dopo il periodo d’oro vissuto nella prima metà dei Novanta. Il solista di Tate è insipido e provocatorio, esattamente come la copertina dove manda affanculo la sua ex band. Vien da pensare che, tutto sommato, chi li dichiarò morti dopo Promised Land del ’96 non ci vide poi così male… Voto 1.
Heaven Shall Burn – Veto: settimo disco per i capi del melodeath (oddio si può ancora scrivere oggi o serve dire deathcore) tetesko. Sostanzialmente la loro formula è la solita da diverso tempo, dettami svedesi della seconda metà dei Novanta con metalcore furibondo e poche altre cazzate. Land Of The Upright Ones valga da sola come biglietto da visita per un gruppo che non ne vuole sapere di cambiare rotta e, anzi, continua orgogliosamente per la propria strada. Le melodie che appaiono (Fallen) sotto tonnellate di potenza sono il trademark degli HSB. Speriamo non cambino mai rotta in favore di un’orecchiabilità maggiore, ce ne sono (stati) già troppi… Gran disco, la clamorosa cover dei Guardian Valhalla è ulteriore elemento di rispetto per i Nostri. Voto 4.5.
Hell – Curse and Chapter: se conoscete un po’ la storia del metallo britannico degli eighties, avete un’idea delle sfighe che han dovuto superare gli Hell. Ora sono ancora in attività e, senza dubbio, godono di un’esposizione mille volte migliore rispetto a trent’anni fa. Il disco è consigliato solo a nostalgici e amanti del metallo classicissimo (e di King Diamond), in quanto è un lavoro debitore di un sound morto e sepolto da tempo. Ma, detto questo, rimane un ottimo album benchè fuori dal tempo. Voto 3.5.
Immolation – Kingdom Of Conspiracy: vecchie carogne della scena brutal death metal, arrivano al nono album da studio. Traguardo invidiabile, specialmente se tagliato mantenendo inalterata la qualità della proposta e, soprattutto, la rabbia e la violenza sonora della propria proposta. Maestri assoluti, sottovalutati da molti deathsters e appassionati di una scena che, negli anni, non ha mai tributato i giusti onori a una band clamorosa. Voto 5.
Kayo Dot – Hubardo: progressive, experimental, avantgarde e simile. Un genere preciso per incastrare i Kayo Dot non è ancora stato inventato. Non sarebbe nemmeno facile concepirlo, visto come la loro proposta non sia affatto statica. Hubardo è un incubo farcito da fusion, psych, musica da camera, growl malati e percussioni disturbanti. Adatto a chi è abituato a sonorità realmente paranormali. Voto 4.
Krokus – Dirty Dynamite: diciassette dischi per questa band svizzera che non accenna a compiere un passo indietro. Rock and roll senza fronzi e una gioia per tutti gli appassionati di hard classico in astinenza da AC/DC e anche da Bon Scott. Nulla di nuovo sotto il sole ovviamente, ma per certi nomi va bene così! Voto 3.5.
James LaBrie – Impermanent Resonance: a molti fan dei Theater non piacerà. Troppo pippaioli, progster incalliti e conservatori per apprezzare uno dei migliori lavori del nuovo Millennio fatto da un DT non marchiato DT, oltre che il top di LaBrie solista. James si diverte a cambiare registri, ad alternarsi con Wildoer che va di growl da dietro la batteria. Molto godibile e libero di spaziare tra vari generi metal, con tanto di tastieroni zarri qua e là e sonorità swedish se non addirittura djent. L’opener Agony è uno dei migliori pezzi dell’anno. Voto 3.5.
Metal Church – Generation Nothing: per vecchie pellacce heavy metal. E’ forse il disco più riuscito della post-post reunion dei veterani Metal Church. Pochi fronzoli, quasi sempre ritmi sostenuti e riffazzi che, sebbene non memorabili, regalano momenti di gasamento come si conviene a un nome del genere. Per pochi, ma quei pochi godranno. Voto 3.5.
Motorhead – Aftershock: è impossibile separare le sensazioni che provoca il ventunesimo disco da studio dei Motorhead da quelle che arrivano pensando al precario stato di salute di Lemmy. Sperando che Aftershock sia il segnale di una ripresa lenta e inesorabile del rockettaro per eccellenza, godiamoci una manciata di brani abbastanza vari e ispirati. Il tutto, come sempre, in linea con l’inconfondibile stile di Kilmister e compagni. Voto 3.5.
My Ruin – The Sacred Mood: io Tairrie B (classe 65, mica cazzi) me la ricordo nei panni di Tura Satana durante Superock, trasmissionaccia di Mtv che andava in notturna condotta da Julia Valet. In sostanza la schizzata singer è ancora in attività e ovviamente in forma. Più stoner-iana e classica dei precedenti lavori, Tairrie riesce a convincere anche chi di base è scettico quando vede donne singer in una band hard & heavy. E se non vi convince può sempre tagliarvi i maroni senza difficoltà. Idola. Voto 3.5.
Pop Evil – Onyx: e fu così che le webze italiane si accorsero dei Pop Evil. Fondamentalmente perchè devono fare il favore all’ufficio stampa di turno, in ogni caso non fa mai male quando un gruppo quanto meno decente della scena hard rock moderna degli States ottiene un po’ di visibilità. Dopo un esordio abbastanza sfiga, i Nostri si erano risollevati con una seconda release decente. Ora provano a puntare più in alto con una cd che sa molto di Shinedown, cercando di sfruttarne la scia commerciale (in ascesa quanto è in discesa la qualità della loro proposta ma vabbè). Disco onesto ma siamo ancora lontani da qualcosa che possa realmente farli esplodere anche sul suolo natio. Voto 3.
Projected – Human: è uscito nel 2012 ma a livello di import è stato impossibile non trovarlo prima di quest’anno. Due Sevendust, il batteraio degli Alter e il fenomenale turnista Eric Friedman. Non male come premesse. Human non inventa niente, è un bel mattonone post-grunge, alternative moderno che a furia di mid-tempo e ganci melodici finirà per piacere un po’ a tutti i fan della scena attuale americana. Senza infamia, senza lode. Voto 3.
Queensryche – Queensryche: vedere alla voce Geoff Tate. Non ci frega nulla se vogliano fare passare l’ex frontman come fuso di testa, la sostanza è che Wilton e compagni non azzeccano un disco da quasi vent’anni. Il buon lavoro di Todd La Torre dietro al microfono non aiuterà una band alla deriva a ritrovare gli antichi splendori. Sempre che, prima o poi, avvenga una commovente reunion a cui segua l’ennesimo tour celebrativo dei veri capolavori Mindcrime ed Empire. Nonostante tutto questo, il cd è di molto migliore di tutto quanto uscito nel nuovo millennio, forse perché dura solo mezz’ora… Voto 2.
Red – Release The Panic: cercando la strada più rapida per conquistare l’airplay delle rock radio US, i RED aumentano l’aggressività e la dose di elettronica interna ai propri pezzi. Il cambiamenti è evidente e funziona bene. La formula è sempre la solita ma a questo giro il prodottone finale è meno ruffiano del precedente. Quattro dischi e ancora parecchio da dire. Non male. Voto: 3.5.
Scar The Martyr – Scar The Martyr: Jordison prova la strada come solista. Arrivato vicino alla quarantina, il drummer degli Slipknot si lancia in un universo gothic/alternative metal cercando di incastrare il groove giusto in ogni pezzo. Il debutto è indubbiamente acerbo ma gli spunti interessanti non mancano per nulla. Serve qualche ascolto, ma Joey ha effettivamente qualcosa da dire. Voto: 3.
Scott Stapp – Proof Of Life: chissà se Scott ritroverà mai una pace interiore decente. Per ora non ha ancora ritrovato il filo giusto per fare musica che regga oltre i primi quindici minuti. Proof è un lavoro pop rock molto easy, alla lunga noioso con diversi pezzi senza alcun mordente. Voto 1.5.
Sepultura – The Mediator Between the Head and Hands Must Be the Heart: a parte tutti i discorsi sui Cavalera, la difficoltà maggiore è ficcarsi in testa che i Sepultura sono una hardcore band che non ha più nulla a che vedere col passato tremendamente pesante alle spalle. La sostanza è che anche questo nuovo disco è un lavoro normalissimo come centinaia di altre uscite. Non un brutto disco ovviamente, ma anonimo. Che è pure peggio. Voto: 2.5.
Sevendust – Black Out the Sun: è sentire comune che il meglio per i Sevendust sia oramai dietro le spalle. Tuttavia, con il loro nono (!) disco da studio, i Nostri dimostrano di crederci ancora e di aver voglia di fare la musica che li ha resi un act molto rispettato specialmente oltreoceano. Witherspoon e soci confezionano un lavoro godibile e senza grossi passaggi a vuoti. Avanti a testa bassa. Voto: 3.
Skillet – Rise: prodottone tipicamente americano, che ha saputo evolversi fino a conquistarsi uno spazio meritato nelle chart americane. Non nascondere di essere una Christian band può indubbiamente aver aiutato, tuttavia anche i ganci della titletrack e delle tirate Sick Of It e Circus For A Psycho sono prove di una capacità indiscutibile. Se col precedente Comatose e i singoloni Hero e Monster hanno sfondato, con Rise gli Skillet si posizionano ancora più saldamente sul mercato US. Voto 3.5.
Suffocation – Pinnacle of Bedlam: altro massacrante disco di una band che è tra i maestri del genere. Certo, i tempi d’oro sono andati e le nuove leve si fanno valere, tuttavia i Suffocation sono ancora una solida garanzia. Durissimi a morire e con la produzione migliore di ogni tempo, per lo meno all’interno della loro discografia. Voto: 4.
Summoning – Old Mornings Dawn: black metal in chiave epic per fedelissimi alla scena, amanti di atmosfere Tolkeniane e fantasy. Potrebbe sorprendervi che nel 2014 ci siano ancora estimatori di tali sonorità, in realtà i Summoning sono una delle band più amate proprio per questa loro coerenza di fondo e per la capacità di aver portato un genere notoriamente furibondo e violentissimo, in simili territori. Non per tutti ma buonissimo ritorno anche se, un gradino sotto il predecessore. Voto 3.5.
Trivium – Vengeance Falls: piaccia o meno, questi sono riusciti a uscire dalle secche del metalcore per imporsi come una metal band di nuovo corso che suona in modo abbastanza classico. Forse non otterranno mai il successo che si stanno pappando gli Avenged Sevenfold, ma è altrettanto innegabile che per lo meno i Trivium non stanno copiando a manetta riff e sound di Metallica e Guns dei Novanta per arrivare al top. Vengeance Falls è un lavoro riuscito, che conferma i Nostri quali eccellenti esecutori e legittimi rappresentanti di una corrente da rispettare. Voto: 4.
Volbeat – Outlaw Gentleman & Shady Ladies: sono arrivati all’attenzione delle masse da almeno quattro anni. E se lo sono meritato pochi cazzi, la loro proposta (oggi stantia e ripetitiva) è stata davvero una ventata di aria fresca negli anni scorsi. Dal vivo spaccano e sanno come tenere un palco che, anno dopo anno, diventa sempre più importante e ricco di orpelli. Bravi. Detto ciò, Outlaw Gentleman è un disco di maniera, scialbo e per nulla ispirato, fatto da un combo che sa benissimo di essersi ritagliato un posto importante nella scena contemporanea. Se volete scoprirli per davvero ripartite per lo meno dal biennio 2007/2008. Voto: 1.5.
We As Human – We As Human: courtesy of John Cooper degli Skillet, arrivano sul mercato i We As Human, con un debuttone adeguatamente pompato dalla stampa d’oltreoceano. La miscela è sempre la solita, rock vitaminizzato e melodie, qualche pezzo più aggressivo degli altri ma tutto sommato in linea con i clichè della scena christian hard rock. Il prossimo, grazie. Voto 2.5.