The Heavy Countdown #60: Annisokay, Crossfaith, Time, The Valuator, Erra

Annisokay – Arms
Non più tardi di un paio di anni fa, gli Annisokay avevano dato alle stampe “Devil May Care”, un disco che ci aveva convinto solo a metà. Ma con il quarto full-length, la formazione tedesca è finalmente conscia delle proprie potenzialità e di come sfruttarle al meglio. Possiamo quindi dire che la protagonista assoluta di “Arms” è la confidenza nei propri mezzi (prendete “Unaware”, il singolo melodic metalcore catchy per eccellenza), e il raggiungimento del fragile equilibrio tra melodia e sfuriate, tra elettronica e chitarre. Sia ben chiaro, gli Annisokay non rivoluzionano nulla, ma con “Arms” si attestano tra gli act più solidi della scena.

Dropout Kings – AudioDope
Revival, revival e ancora revival. Di band che vanno a ripescare nel nu metal (o se preferite, rap rock) ce n’è una valanga e mezza, ma i Dropout Kings, all’esordio con “AudioDope”, aggiungono un pizzico di pepe in più in una proposta che come ben sappiamo, risulterebbe stantia ancora prima di affrontarla. La formazione di base in Arizona, infatti, si rivolge per una volta non agli ex ragazzi di fine anni ’90-inizio 2000, ma ai Millennials loro coetanei. Non stupisce per questo, che l’elemento più forte di questo lavoro sia proprio il flow. Ascoltare per credere.

Crossfaith – Ex Machina
Noti per il loro crossover tra dance/elettronica e metalcore e soprattutto per i loro live a prova di bomba, i nipponici Crossfaith sono rimasti nel corso degli anni intrappolati nel limbo della next big thing. Con “Ex Machina” (e i precedenti EP) non riusciranno a togliersi queste catene, ma danno comunque riprova del loro valore con un disco ben bilanciato tra la parte danzereccia e quella più heavy (prendete il singolo “The Perfect Nightmare”) e un paio di featuring gustosissimi (Ho99o9 in “Destroy” e Rou Reynolds degli Enter Shikari in “Freedom”). Evitabile la conclusiva cover di “Faint” dei Linkin Park.

Makari – Hyperreal
I Makari si sono auto-appiccicati l’etichetta di “ambient rock”, ma nel loro debutto c’è anche dell’altro nascosto tra le pieghe di un’opera che solo all’apparenza è da liquidare come easy-listening. La giovane formazione originaria della Florida chiama infatti in causa l’alternative/emo e i gruppi che hanno fatto esplodere il genere a inizio Duemila, tipo i Taking Back Sunday (“The Jar”), oltre a flirtare con ambientazioni sognati (“Transient”) e post-hardcore (“Fractals”).

Time, The Valuator – How Fleeting, How Fragile
Dopo una serie di singoli molto convincenti, ecco il debut album dei Time, The Valuator. “How Fleeting, How Fragile” è un buon lavoro progcore con una evidente inclinazione per le melodie pulite e per le atmosfere sognanti costruite a suon di piano e synth, che confluiscono in momenti di pura magia alla Novelists (guarda caso il vocalist della band francese fa capolino in “Fugitive”), ma risente di un’eccessiva lunghezza (quasi un’ora di running time) che ne diluisce l’impatto complessivo, che sarebbe stato molto più efficace con qualche pezzo in meno.

Erra – Neon
Sul fatto che gli Erra siano uno dei nomi di spicco del prog-core non ci piove. Ma arrivati al quarto full-length, ci si aspettava qualcosa in più, una forte presa di posizione che, ahinoi, non si è verificata. Quindi, nonostante il livello di J.T. Cavey e soci sia un miraggio per molti e che la bravura dei ragazzi sia sotto gli occhi di tutti, lo è altrettanto l’eccessiva omogeneità di “Neon”, con brani che confluiscono l’uno nell’altro senza soluzione di continuità, con il risultato di apparire prevedibili e monotoni.

Earthists – Lifebinder
Gli Earthists vengono da Tokyo, e sono l’ennesima formazione nipponica tecnicamente ineccepibile (esisterà mai una band giapponese scarsa?), che ama autodefinirsi “naturecore”, ovvero una particolare sfumatura di metalcore incline alle tematiche ambientali e ad argomenti fuggevoli come la vita e la morte. Dal punto di vista del sound, questa scelta si ripercuote sull’utilizzo dei synth, indispensabili per creare quelle atmosfere ambient in cui il messaggio dei Nostri riesce e a sbocciare al meglio. Meno bene invece lo screaming, a tratti troppo forzato.

Desasterkids – Superhuman
Che brutta bestia la nostalgia. Ti prende, ti assale, e liberarsene diventa un’impresa impossibile. Ma per dire addio alla malinconia, i Desasterkids hanno trovato una soluzione tanto semplice quanto efficace: sguazzarci dentro il più possibile, senza lasciar spazio al presente e soprattutto al futuro. Questo preambolo per dire quanto “Superhuman”, la terza opera dei berlinesi paladini del nu-metal(core) in patria, attinga a piene mani dal repertorio di band come Limp Bizkit e Papa Roach. Divertentissimi, per un paio di pezzi o poco più.