The Heavy Countdown #31: Chon, Hundredth, Anathema, Suffocation

Chon – Homey
Perdonate il desiderio di leggerezza, ma ogni tanto ci sta anche nella nostra Heavy Countdown. E per soddisfare la mia voglia di mare, per ora dovrò accontentarmi del sound estivo e solare del secondo disco dei Chon, band math-progressive-core specializzata in brani strumentali. E con una smania folle di sperimentare con l’ambient e l’elettronica (“Berry Streets”) e anche con l’electro-jazz (“Nayhoo”). Roba che poi alla fine, tanto leggera non è.

Employed To Serve – The Warmth of a Dying Sun
Il (post) hardcore degli Employed To Serve mostra un lato sludge tremendamente oscuro e paludoso in questo ultimo lavoro in studio, “The Warmth of a Dying Sun”. Basti ascoltare pezzi come “Lethargy” per rendersene conto, ma anche per capire che i Nostri, come recitava un noto spot, sanno bene che la potenza è nulla senza controllo. E infatti, anche brani come “I Spend My Days”, funzionano benissimo pur avendo il freno a mano tirato, e sono addirittura orecchiabili.

Hundredth – Rare
A volte essere coraggiosi e sicuri della strada da intraprendere paga. È questo il caso degli Hundreth, band del North Carolina, che nasceva in origine come formazione hardcore/metalcore, ma che oggi ha deciso di virare verso i lidi eterei e nebulosi dello shoegaze (mantenendo però in alcuni momenti topici l’impronta dei cari vecchi tempi, vedi “Neurotic”). Certo, il rischio è di scontentare i fan, ma le idee e l’ispirazione per conquistarne di nuovi in “Rare” ce ne sono. E parecchie.

Schammasch – The Maldoror Chants: Hermaphrodite
Non è passato neanche un anno dall’album triplo (!!!) degli Schammasch (lavoro che ci aveva asfaltato senza rimedio), che oggi buttano fuori un EP, prima parte di un progetto temerario che si propone di interpretare in musica i “Canti di Maldoror” di Lautréamont. Tanto ambizioso il tema principale, quanto il consueto mix di post-black-metal screziato di industrial di cui i Nostri ci fanno dono. Anche se a dirla tutta, rispetto al precedente “Triangle”, la formazione sta cercando di scrollarsi progressivamente di dosso la violenza tipica del death e del black.

Elder – Reflections of a Floating World
Il viaggio musicale offerto dagli Elder è (a ragione) osannato da buona parte della critica estera. Il progressive doom/stoner di “Reflections of a Floating World” è un’esperienza pregna ma spesso non facile da seguire in tutti i passaggi per chi non ha orecchie ben allenate. A me ha ricordato la complessità emotiva degli ultimi Pallbearer. Quindi, se vi piacciono quelle sonorità, il nuovo disco degli Elder farà per voi. Altrimenti non prendetevi neanche il disturbo.

Ulsect – Ulsect
Gli Ulsect hanno un’indubbia qualità: riescono a costruirsi e demolirsi nel giro di pochi minuti con la stessa crudele spontaneità. Questa caratteristica è in parte spiegata dal fatto che nella formazione olandese militano ex Textures, Dodecahedron, e Encircled, e quindi il suo attuale percorso non può che risentire di queste influenze del passato. Se poi aggiungiamo un pizzico di Ulcerate e di Meshuggah abbiamo detto proprio tutto. Non vi resta che schiacciare play a volume folle.

Others By No One – Book 1: Dr. Breacher
Se pensate che nerdgressive progcore sia una definizione per prendere per il culo questi bruttoni ci avete preso. Resta il fatto che questo EP è una delle cose più svisate e interessanti del 2017 per chi segue un certo genere di musica. Se vi piacevano i primi Between The Buried and Me e Protest The Hero andate sul sicuro con questo misturone di influenze e progressive moderno suonato con incredibile perizia (p.s.).

Anathema – The Optimist
Il cambiamento è sempre di casa quando si parla degli Anathema. Ma tuttavia, c’è sempre qualcosa di familiare nei loro dischi, un’impronta distintiva. Nonostante ormai i Nostri amino mischiare il progressive con l’electro (dark) pop, e nonostante la vocalist Lee Douglas sia ormai sempre più importante nell’economia della band, pezzi come la conclusiva “Back To the Start” riportano con i piedi per terra al sound più classico della formazione. Unica avvertenza per i neofiti: occhio ai colpi di sonno.

Beyond The Setting Sun – The Archimedean Point
Deathcore profumato di tanto tec(h)nicismo nerd quello dei Beyond The Setting Sun, arrivati oggi al secondo disco in carriera. La potenza di fuoco dei tedeschi lascia tutt’altro che indifferenti, e vale più di una tazzina di buon caffè in caso di disperata necessità. Ammirevoli i riff e la sezione ritmica, più carenti invece i clean vocals, sui quali è necessario lavorare ancora un pochino. Ma nel loro genere, ci stanno.

Suffocation – …Of the Dark Light
I pionieri del brutal death metal ritornano con un disco, che a dirla tutta, mostra un bel po’ di corda. Pur lasciando intatto lo stile tipico, “…Of the Dark Light” manca di quello spessore che aveva fatto il successo della formazione. Se poi aggiungiamo alcuni cambi di tempo talmente forzati che sembrano l’incipit del pezzo successivo (ma non lo sono, e “The Violation” ne è una dimostrazione lampante), “…Of the Dark Light” è un lavoro che di certo non farà la gioia dei fan di vecchia data dei Suffocation.

Currents – The Place I Feel Safest
“The Place I Feel Safest”, debutto dei Currents, può sembrare il solito disco metalcore di maniera. E in effetti lo è, se non fosse per una sottile venatura dark che tesse le sue trame per tutto il lavoro, allargandosi a macchia d’olio man mano che si prosegue nell’ascolto dei pezzi. Una sorpresa annunciata con un trucco, ovvero la copertina, che più dark di così si muore. Ma a parte questo, i brividi che dà “The Place I Feel Safest” sono ben pochi.

Fort Hope – The Flood Flowers, Vol. 1
Debutto decisamente ambizioso quello dei Fort Hope, trio britannico che ha molto da dire. Da pezzi alla Muse come “Kaiser”, alla simpatia per il synth pop (“Minor White”), i FH cercano di venire a galla nell’“alluvione” (giusto per parafrasare il titolo dell’LP) dell’alternative, un mare magnum nel quale spesso è difficile sopravvivere. E a volte, come nei brani citati ce la fanno, altre volte no. Ma siamo appena all’inizio.

Volumes – Different Animals
Arrivati al terzo full-length, i Volumes hanno deciso che fosse finalmente arrivato il momento di fare il grande salto. E infatti hanno cambiato vocalist, godendo oggi dei servigi (e soprattutto del cantato pulito) di Myke Terry. Ma il problema, nonostante tutte le buone intenzioni del mondo, è che in “Different Animals” c’è tanta roba già sentita, anche da band come i Bring Me the Horizon, per dire. Le intenzioni sono buone e qualche passaggio radiofonico se lo possono guadagnare facilmente (“Finite” ne è un buon esempio), ma non basta per spiccare.