Dream Theater – Distance Over Time
“Distance Over Time” è un disco che fa ampiamente capire, se mai ce ne fosse stato bisogno, che cosa significhino i Dream Theater nel progressive metal, e la loro influenza su una miriade di band contemporanee che solo all’apparenza sembrano lontane anni luce dai Nostri (leggi alla voce Tesseract e Periphery, giusto per citare un paio di nomi enormi). Con il loro quattordicesimo full-length, i DT fanno un passo indietro rispetto al precedente “The Astonishing” (2016), privilegiando un approccio più diretto e frontale (eccezion fatta per i brani più smaccatamente progressive come “At Wit’s End” e “Pale Blue Dot”).
https://youtu.be/C7m7l8iqGAk
Badflower – OK, I’m Sick
I Badflower si sono già fatti notare negli States con il singolo “Ghost”, ma con “OK, I’m Sick”, è giunto il momento per la formazione losangelina di conquistare anche il pubblico oltreoceano. In madrepatria c’è già chi grida al miracolo, e sono in molti a paragonare i Badflower a un ibrido particolarmente ben riuscito tra My Chemical Romance e Royal Blood. Per non parlare dei testi, vero fiore all’occhiello di questo debutto, che offre molti spunti su cui ragionare. Il potenziale i ragazzi ce l’hanno tutto, ora sta a loro proseguire sul percorso giusto.
Blood Youth – Starve
Alzi la mano chi ascoltando “Starve” dei Blood Youth non ha pensato ai Korn, o meglio, a una versione più moderna in salsa post-hardcore metallizzato della band capitanata da Jonathan Davis. La seconda fatica dei BY amalgama le dosi perfette di tutti gli ingredienti giusti per poter funzionare, in un mondo ideale in cui groove, aggressione e melodia vanno d’amore e d’accordo come tre bravi fratelli. Oltre a lasciare intendere di essere una formazione live più che valida.
Ghost Iris – Apple of Discord
Avevamo lasciato i Ghost Iris al 2017 con “Blind World”, che per i danesi è già tempo di dare alle stampe il terzo album, “Apple of Discord”. Nonostante il titolo, sul nuovo lavoro del giovane combo progcore c’è ben poco da dissentire. Infatti, l’amore dimostrato in passato per le dissonanze e i cambi di tempo rimane, ma “Apple of Discord” è un’opera decisamente più coesa rispetto alle precedenti, che denota una grande maturità e una buona crescita artistica, come dimostra la super catchy “Final Tale”.
Attila – Villain
“I’m the one you love to hate”, diceva qualcuno tempo fa. Continuando a parafrasare questo assunto, gli Attila possiedono il consueto potere di irritare con un’arroganza tutta Fronzakiana. Ma a differenza del precedente “Chaos” (2016), “Villain” rappresenta un ritorno al sound deathcore pompatissimo tipico della band, abbandonando ogni velleità nu metal (se escludiamo le poco riuscite “Toxic” e “Subhuman”) e arrovellandosi a volte in un’introspezione che non calza il personaggio (vedi “Manipulate”). Ed è un peccato, soprattutto per chi con il precedente disco aveva iniziato a guardare gli Attila con occhi diversi.