[Pop] The Drums – The Drums (2010)



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I The Drums sono quattro ragazzi di Brooklyn che da circa un anno hanno catalizzato gran parte dell’attenzione della critica indie – pop. La stampa inglese li ha adottati quasi fossero connazionali, e persino il buon Morrissey li ha pubblicamente elogiati. E ciò è accaduto ancor prima che la band pubblicasse un album vero e proprio; prima di quest’esordio, infatti, al loro attivo potevano vantare solamente un EP (Summertime!) e una manciata di singoli. La ragione di tutto questo clamore in terra d’Albione è molto semplice: The Drums suonano più inglesi di un gruppo inglese.

Ammetto che, dopo aver sentito i singoli incriminati (“I Felt Stupid”, stranamente non incluso in questo disco, e “Let’s Go Surfing”, questo sì in scaletta), mi son tremate le vene ai polsi. Ecco perché gli ex Smiths ne han parlato così bene! Già, perché oggi è davvero difficile trovare un gruppo che, più di loro, si dedichi con tanto slancio a rispolverare le armonie e le atmosfere dei mancuniani. I Drums paiono davvero gli eredi più credibili di Moz e compagni, tanto che chi è cresciuto con le note di questi ultimi non può reprimere un brivido di piacere. Prendete “I Felt Stupid”: quanto è simile l’arpeggio di chitarra che s’insinua nel brano a quelli, ormai classici, della Rickenbacker di Johnny Marr? Domande retoriche, lo so, ma la somiglianza è davvero impressionante. Chiaro che, in epoca di Eighties Revival imperante, un suono del genere non sarebbe potuto passare inosservato.

C’è da dire che i quattro non si limitano a copiare e basta. Sanno anche aggiungere un tocco personale alla vicenda, e soprattutto si dimostrano abili a mischiare suggestioni differenti. In questo senso è utile analizzare l’altro singolo, “Let’s Go Surfing”, sul quale è modellato gran parte dell’album: se gli accordi di chitarra e l’atmosfera complessiva, voce compresa, sono ancora una volta debitori degli Smiths, la linea di basso parla invece la lingua dei Cure di metà anni Ottanta, e comunque è ben indirizzata verso stilemi new wave; mentre il fischiettio di sottofondo serve a stemperare il tutto in un alone di vaga spensieratezza. Questa è l’alchimia sonora che informa gran parte del lavoro: ricami retrò di gusto Sixties (anche i Beach Boys fanno parte del loro bagaglio stilistico) abbinati a melodie morrisseiane, ingredienti che servono a rendere leggere e disimpegnate le infiltrazioni del suono, in origine cupo e pregno di reale mal di vivere, di gente come Joy Division e Cure, qui riletti in un’ottica paradossale. Le influenze wave si notano soprattutto quando entrano in scena le tastiere, ad esempio in alcune parti di “I’ll Never Drop My Sword”, oppure in “Forever & Ever Amen”, canzone che mischia in modo funambolico il passo della band di Jan Curtis (sentire l’incipit) con levità smaccatamente pop (sentire tutto il resto). La dark wave all’ombra delle palme, insomma. Da citare anche “Down By The Water”, episodio avulso dagli altri brani, che pare addirittura un lento anni Cinquanta degno di Ben E. King.

Una band particolare, insomma, che pur inserendosi nel filone citazionista riesce ad esprimersi in modo quasi originale, senza dar troppo l’impressione di rimestare roba stravecchia. Certo, ascoltando l’opera si percepisce la giovane età dei musicisti, un filo d’inesperienza e una ricerca della canzone pop perfetta che rischia di scadere nel melenso. Perché, proprio rispetto ai numi tutelari, i Drums sono davvero leggerini, sin troppo. Persino superficiali. Eppure il disco funziona e per un ascolto disimpegnato è l’ideale. Vedremo cosa dirà il tempo, per ora questi giovani suonano molto più freschi di molti loro coetanei che si sforzano di essere l’ultima meraviglia dell’indie pop.

Stefano Masnaghetti

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