Non mi capita da tempo di scrivere qui. Ma per gli Empire è obbligatorio fare un’eccezione. Non appena è partita “Colour Of Shame”, opener di “Glue” loro primo album vero e proprio dopo EP e robe varie pubblicate negli ultimi anni, mi sono passate davanti agli occhi immagini di un decennio in cui setacciavo MySpace, cercavo su YouTube, scaricavo il mondo su Emule Adunanza in cerca di quella band che mi avrebbe fatto uscire di testa anche solo per pochi giorni.
Nella storia di Outune (il pre MusicAttitude per chi avesse vissuto a Mururoa negli ultimi dieci anni), tra Airbourne, Alter Bridge, Paramore, Shinedown, Volbeat e chi ne ha più ne metta, abbiamo avuto di che divertirci nel parlare in toni entusiastici di band praticamente sconosciute che da lì a poco avrebbero fatto il botto anche in Europa. Oramai i botti le band non li fanno più, il mercato è ultra morto e la fuffa degli streaming non permette certo a gruppi validi di pagarsi i tour in altri continenti. Ma poco male. La voglia di dire che “oh raga questi spezzano” non mi è mai venuta meno.
Gli Empire, eccezionali sin dal loro esordio, si superano in questi 38 minuti, proponendo pezzi up-tempo e melodie incredibili in quasi ogni traccia. Riescono a mettere insieme post hardcore, alternative, pop-punk vitaminizzato e modern rock con una facilità disarmante, grazie anche alle disumane capacità vocali di Joe Green. La band è cresciuta ascoltando post-hardcore dei Duemila, Coheed & Cambria e Biffy Clyro. Non potete (NON POTETE) per alcun motivo ignorarli. A buon rendere.