[CD1] Aihggi Varam – Maravigghia – Schiuvatu – Sula – Miseria – Tramuntu – Tintu Viòlu – Oscurità
[CD2] Ciatata – Impura – Pecura Niura – Nenia II – Massa – Trinaka – Avìa – Ave Matri (live)
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La seguente, più che una classica recensione, vuole essere un omaggio ad una delle realtà estreme più sottovalutate d’Italia: è ormai da 15 anni che Agghiastru e i suoi Inchiuvatu sono in attività, ma, a dispetto di una notevole produzione discografica sia sotto l’aspetto quantitativo (non vanno dimenticati i mille progetti paralleli di Agghiastru, quali Lamentu, Astimi, La Caruta Di Li Dei, per citare solo i più importanti), sia sotto quello qualitativo, i Nostri non hanno mai raccolto grandi consensi di pubblico, rimanendo una band per pochi. Un vero peccato, poiché stiamo parlando di uno dei gruppi black più dotati del nostro paese, sicuramente del più originale e intelligente. In questo senso i Siciliani sono dei veri e propri geni: per primi hanno capito che scimmiottare i gruppi Norvegesi, cantare in Norvegese, parlare di fiordi e di mitologia nordica non è affatto necessario per suonare black metal; che, anzi, per dei ragazzi provenienti dalla provincia di Agrigento è molto più sensato affrontare temi inerenti alla propria tradizione culturale, cantare in dialetto e inserire nelle canzoni influenze folk della propria regione, evitando di coprirsi di ridicolo cantando di Wotan e di ghiacci eterni. Su questa intuizione Agghiastru ci ha costruito un’intera carriera, e per questo io non smetterò mai di ringraziarlo.
“Miseria” è il disco più ambizioso della compagine sicula (ora però ridotta al solo Agghiastru, coadiuvato dal fido Rosario Badalamenti): si compone infatti di due parti ben distinte, la prima maggiormente debitrice verso il classico sound degli Inchiuvatu, quello di un disco storico come “Addisìu”, mente la seconda mira ad una ricerca musicale più eterogenea, ricca di influenze death e thrash. A collegare il tutto ci pensano i consueti testi del leader, sempre più cupi e legati in modo quasi ossessivo a tematiche quali amori iniziati male e finiti peggio, perdita della meraviglia nei confronti del mondo e della vita, rabbia e rancore verso la miseria umana. Ovviamente le aperture folk delle tastiere rimangono il tratto più caratteristico del complesso, in grado di donare maggior impatto e brillantezza alle composizioni: “Maravigghia”, con il suo stacco centrale onirico e malinconico, è un ottimo esempio di quanto detto; ma anche l’hand clapping di “Schiuvatu”, la melodia mediterranea della bellissima “Sula”, od ancora il pianoforte triste di “Avìa”, sono altri esempi che potrebbero fare al caso nostro.
Arrivati al quarto album in studio, gli Inchiuvatu si dimostrano una certezza per la cosiddetta scena mediterranea (fondata dal musicista di Sciacca e da pochi altri), e continuano ad essere parecchie spanne sopra alla maggior parte dei gruppi black italici; con “Miseria” anche la qualità dei suoni compie un netto passo avanti, anche se continua a non essere all’altezza della loro musica. Purtroppo è facilmente pronosticabile che tanti sforzi e una carriera ormai lunga e rispettabile non servano comunque a far decollare definitivamente il nome della band Siciliana: probabilmente i ragazzini continueranno a preferirle l’ennesimo clone dei Darkthrone o di Burzum.
Stefano Masnaghetti