Like The Oar Strikes The Water – Fear Is The Key – Hövding – Iron Will – Silver Into Steel – The Shadow Knows – Self Deceiver – Beyond Good And Evil – I Am The North
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Continua la virata stilistica del trio Svedese: se i Grand Magus si erano presentati al pubblico, ormai sette anni fa, con un disco di hard rock intriso di blues e di stoner, memore della lezione dei Black Sabbath di “Master Of Reality” e, in generale, permeato di fumose atmosfere anni Settanta, ora con “Iron Will” JB (anche vocalist degli altrettanto retrò Spiritual Beggars) e compagni dimostrano di volersi distaccare definitivamente dal loro suono degli esordi, componendo un album totalmente devoto al doom classico ma, soprattutto, alle sonorità epiche e maestose di certo heavy metal Ottantiano.
Non si tratta certo di una rivoluzione senza preavviso: già i precedenti “Monument” e “Wolf’s Return” mostravano la tendenza della band a dirigere il proprio songwriting verso composizioni meno bluesy e più metalliche, ma è con il nuovo lavoro che la metamorfosi giunge a compimento. Alcune sonorità cupe degli esordi sono rimaste, così com’è rimasta la voce calda e corposa di JB. Ma se in passato i punti di riferimento centrali erano i Led Zeppelin e i Black Sabbath dei primi dischi con Ozzy, adesso i Grand Magus si divertono a giocare con i riff dei BS dell’era Dio (cfr. “Fear Is The Key”), o direttamente con le cavalcate del Dio solista, periodo “Holy Diver” (cfr. “Silver Into Steel”, probabilmente la più bella del disco); nei momenti più lenti, invece, sono gruppi quali Candlemass, Solitude Aeturnus e Manilla Road ad essere i referenti principali (cfr. “Self Deceiver” e la conclusiva “I Am The North”); il blues lisergico degli esordi è stato quasi del tutto abbandonato, così come le influenze stoner, tutte componenti che affiorano qua e là, soprattutto negli assoli, ma che ormai servono soltanto come abbellimenti di un amalgama sonoro che si sviluppa in tutt’altra direzione.
Per chi scrive il miglior periodo dei Grand Magus rimane quello di mezzo, in cui maggiore era il bilanciamento tra le varie componenti della loro musica. Questo “Iron Will” pecca forse di eccessiva monoliticità e di troppa somiglianza con gli originali, ma è necessario anche far notare la grande bravura e l’affiatamento perfetto raggiunto dagli Scandinavi, i quali sono in grado di scrivere ottime canzoni che possono riscuotere l’interesse non solo dei nostalgici, ma anche degli estimatori di band come High On Fire, Mastodon e The Sword.
Stefano Masnaghetti