[Sludge/Stoner Metal] Black Tusk – Taste The Sin (2010)


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I Black Tusk sono un trio proveniente da Savannah, Georgia, che incide per Relapse e si fa disegnare le copertine dei propri album da John Baizley dei Baroness (d’altronde sono concittadini). Definiscono la loro musica ‘swamp metal’, ossia metal delle paludi. Che è un modo un po’ più ricercato e originale per descrivere un concentrato di suoni che, partendo dallo sludge, tocca quasi tutti i centri nevralgici del cosiddetto ‘post metal’ sviluppatosi negli ultimi anni: dallo stoner al postcore al southern rock all’hard rock Seventies al thrash più grezzo e sguaiato degli anni Ottanta. In breve, quel genere di sonorità che ci hanno fatto conoscere i vari Mastodon, High On Fire, gli stessi Baroness, e più recentemente Kylesa, Bison BC, Mouth Of The Architect e via elencando.

Per essere ancora più precisi, la base dello stile della band della Zanna Nera è proprio il trittico High On Fire – Mastodon – Baroness; con dei distinguo, però. Rispetto al gruppo di Baizley i Black Tusk sono molto meno progressivi e complessi, e lo stesso discorso può esser fatto riguardo al complesso di Atlanta, dal quale i Nostri mutuano solamente l’aspetto più aggressivo e sudista, tralasciando le derive psichedeliche e gli spunti neo – prog. “Taste The Sin”, infatti, preferisce l’assalto diretto e senza fronzoli, concentrando dieci pezzi in appena 34 minuti di durata. Le affinità più marcate sono, quindi, quelle che riguardano la formazione di Matt Pike: agli High On Fire i Black Tusk ‘rubano’ i tempi veloci, la potenza delle chitarre, la violenza del punk e del thrash, certo stoner ipereccitato e un piglio generale che rilegge i Motorhead in ottica moderna. Il cantato oscilla fra lo scream e un registro più roco e cavernoso, i riff, come direbbe Scaruffi, sono ‘cingolati’ e avanzano a mo di panzer, la sezione ritmica è decisa e pesante. Non ci sono particolari brani da segnalare, il disco è piuttosto omogeneo e vuole tutto e subito, i rallentamenti più propriamente sludge servono a render le canzoni ancor più torride e maciullanti di quel che sono, dando quel tocco ‘paludoso’ che la band reclama a gran voce sin dall’etichetta che si è autoimposta.

Note sature e sudate, amplificatori Marshall a manetta, riffoni spessi e corposi, southern metal imbastardito con il punk, stoner e sludge suonati a martello: questo è quello che offrono i Black Tusk. E lo fanno anche bene, peccato che l’originalità sia davvero poca e, in generale, tutte le tracce siano decisamente convenzionali e prive di tocchi personali. “Taste The Sin” è comunque un buon disco, ma come sono costretto a ripetere (troppo) spesso, in pochi ascolti esaurisce tutto il suo potenziale e corre il rischio di esser dimenticato nel giro di un mese o poco più. Fate la vostra scelta.

Stefano Masnaghetti    

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