The Heavy Countdown #112: Ihsahn, Suicide Silence, Hollywood Undead

Ihsahn – Telemark
Un omaggio alla sua terra d’origine e alle tradizioni ad essa collegata, il nuovo EP di Ihsahn, molto coerentemente non lascia spazio all’inglese (tutti i pezzi di “Telemark” sono in norvegese, ad eccezione delle cover di “Rock and Roll Is Dead” di Lenny Kravitz – sì, avete letto bene – e di “Wrathchild” degli Iron Maiden). Ma oltre a essere una lettera d’amore nei confronti del suo nord, questo nuovo lavoro del frontman degli Emperor, pur senza aggiungere nulla alla discografia dell’artista, non fa nient’altro che cementare il matrimonio tra progressive e black metal, lasciando per questa volta da parte l’elettronica (e la title track vale tutto l’EP).

Suicide Silence – Become the Hunter
Dopo il passo falso dell’omonimo disco del 2017, accolto dai fan con reazioni che oscillavano dall’orrore alla rabbia, per i Suicide Silence l’unica mossa pensabile era quella di ritornare a giocare in casa. E infatti, “Become the Hunter” ristabilisce l’ordine e rimette in tavola le care vecchie carte del deathcore trademark dei Nostri, in cui rimane qualche sporadica fascinazione per il nu metal (“Skin Tight”), ma sparisce del tutto il cantato pulito, a favore di una ferocia di altri tempi (prendete la title track, “Love Me To Death” o “Serene Obscene”).

Frayle – 1692
Ascoltare “1692”, il debutto discografico dei Frayle, è come spalancare una porta su un mondo sconosciuto, irresistibilmente attraente ma altrettanto pericoloso. Un universo a sé fatto solo ed esclusivamente di luci ed ombre, di incantesimi splendidi come un raggio di sole, ma in grado di trascinarti nelle spirali più cupe della malvagità umana. E tutto questo grazie alla vocalist Gwin Strang, che a mo’ di moderna sirena, rende seducenti le volute soffocanti del goth/doom proposto dai suoi compagni di avventure, riuscendo anche nell’intento di risultare catchy spesso e volentieri (“Gods of No Faith”).

Hollywood Undead – New Empire, Vol. 1
Se gli Hollywood Undead vi hanno sempre fatto venire i brividi (non in senso buono), passate pure oltre. Ma se amate la roba tamarra e ve ne fate pure un vanto, il sesto full-length degli HU, come tutti gli altri dischi della band del resto, avrà sicuramente qualcosa da offrirvi. Certo, l’innovazione non si vede neanche con il cannocchiale, perché siamo nel territorio più congeniale agli Undead, che sarebbe il solito mix di metal e hip hop (o rapcore molto easy se preferite), parentesi melense (in “Second Chances” sembrano quasi i Good Charlotte) e un pizzico di EDM (“Empire”). Uomo avvisato…

Dream Escape – Chaos
I Dream Escape sono cresciuti a pane, Architects e While She Sleeps (giusto per citare un paio tra le maggiori influenze di questa giovane formazione) e si sente. “Chaos”, il nuovo album di questi cinque ragazzi di Tel Aviv, non dirà nulla di nuovo né stravolgerà l’esistenza di nessuno, ma suona molto bene, un esempio di metalcore contemporaneo eseguito con tutti i crismi e con una manciata di pezzi (“Rich Art” e “Burden of God” per esempio) davvero convincenti, in equilibrio tra violenza e melodia. Un pizzico di idee proprie in più non guasterebbe, ma diamo tempo ai Dream Escape di crescere, anche anagraficamente.