The Heavy Countdown #102: Insomnium, Deez Nuts, Dream State, Refused

Insomnium – Heart Like a Grave
Come si fa a essere allo stesso momento neri come le profondità degli abissi, splendenti come una mattinata di primavera, pesanti come l’aria ghiacciata di dicembre e leggeri come la brezza dell’oceano? Chiedetelo agli Insomnium. Dopo il già ottimo “Winter’s Gate” (2016), i finlandesi tornano completamente rinnovati (complice l’ingresso in line-up di Jani Liimatainen, chitarrista e clean vocalist) con un album, l’ottavo in carriera, che va ben oltre il melodic death, chiamando in causa black e prog metal, e trovando il tempo di suonare anche catchy (ascoltate “Valediction” e “Pale Morning Star”).

Deez Nuts – You Got Me Fucked Up
I Deez Nuts o li ami o li odi, senza mezze misure. Appartenendo alla prima categoria, ho sempre visto del potenziale in JJ Peters e crew, specie quando si lanciano alla ricerca del gancio melodico perfetto. In “You Got Me Fucked Up” ce ne sono parecchi, a partire dalla opener (nomen omen) “Singalong” passando per il singolo “Crooked Smile”, tanto criticato dai fan dalla prima ora perché smaccatamente “pop”, ma terribilmente efficace. Però tranquilli, perché di momenti hardcore ce ne sono ancora (pochi, è vero, ma la melodia vince su tutto nella nuova fatica degli australiani), vedi la super heavy “Axe To Grind”.

Dream State – Primrose Path
I Dream State sono una buona band, come ne esistono tante nel panorama post-hardcore/melodic metalcore attuale, ormai oltre la saturazione. Ma ciò che permette al quartetto gallese di distinguersi dagli altri è la vocalist CJ Gilpin, perfetta sia nel cantato pulito più melodico e intriso di emozioni (“Made Up Smile”, oppure “Open Windows”), che nello screaming (“Out of the Blue”). Un uso sapiente di giuste dosi di elettronica completa la ricetta di un full-length di debutto destinato a lasciare il segno nel suo genere.

Refused – War Music
Il secondo lavoro dalla reunion dei Refused, posto che qualsiasi paragone con “The Shape of Punk to Come” sarebbe fuori luogo, è un disco che fila via liscio senza scossoni né sorprese. “War Music”, (ovviamente) politicizzato fino al midollo, trova i suoi momenti migliori nelle esplosioni di rabbia autentiche e violente tipiche dei Nostri (“Violent Reaction”, “Malfire” e “Turn the Cross”), mentre negli episodi più radio-friendly al limite dell’alt rock (tipo “I Wanna Watch the World Burn”) lascia un po’ il tempo che trova.

Uneven Structure – Paragon
Una cosa è certa, sull’altarino degli Uneven Structure ci sono ancora i Tesseract e i Periphery. Un’altra grande verità è che rispetto al precedente “La Partition”, pubblicato a quasi sei anni dal debutto del 2011, i francesi hanno velocizzato un minimo le tempistiche di “Paragon”. Ma l’impressione è che purtroppo, complici la sopracitata incostanza nelle pubblicazioni e problemi di mix e produzione che hanno interessato anche il secondo album, gli Uneven Structure abbiano perso il treno. Certo, in questo nuovo disco di momenti validi ce ne sono (vedi “Hero”), ma ci aspettiamo molto di più da una band che con “Februus” sembrava avesse contribuito a gettare le basi della scena djent/progcore.