“Seek what we mean, not who we are”: ai Kardashev, formazione di base in Arizona, piace fare i misteriosi. E per una volta ho deciso di non dannarmi l’anima e di dare retta all’invito di questi loschi figuri e abbandonarmi alle vibrazioni della loro musica, per cercare in essa quella svolta imprevista degli eventi, “Peripety” appunto, come recita il titolo dell’esordio della band.
“Peripety” non è un disco da ascoltare mentre si sbrigano altre faccende, richiede tempo, dedizione e concentrazione: è un viaggio dalle tenebre alla luce alla ricerca della coscienza di sé. Il sound progressive/atmospheric deathcore che la band propone trova la sua originalità negli elementi black metal che a tratti ricordano i Cradle of Filth degli esordi e all’utilizzo massiccio del blast beat nella maggior parte dei pezzi (uno su tutti, “Somnium”).
La melodia e il cantato pulito riescono a trovare il loro spazio, ma il feeling che ne deriva è ancora più inquietante, come in “Somnus”, in cui per la prima volta fa la sua comparsa una voce fredda e asettica come quella di un androide. Nonostante l’estrema varietà dei brani che compongono “Peripety”, l’impressione è quella di un flusso unico che si snoda per quasi quaranta minuti ininterrotti.
“Lucido” è di gran lunga l’episodio migliore dell’opera: futuristico, atmosferico, da ascoltare al buio per lasciarsi pervadere dalla sua potenza e per sgombrare la mente. Tutto conflagra in “Lux”, un crescendo finale che è un po’ come riprendere fiato quando lo si è trattenuto a lungo.
Il sound dei Kardashev è grezzo, forse troppo, e a volte si ha la sensazione che questa caratteristica vada a inficiare sul risultato finale, che sarebbe una bomba atomica se solo la produzione fosse un minimo più curata. Ma scelte stilistiche a parte, “Peripety” è tutto ciò di cui si può avere bisogno per trasformare una serata tediosa in un arricchimento personale. La svolta imprevista degli eventi, appunto.