“Crack The Skye” (2009) era stato un disco controverso, un punto di non ritorno per i Mastodon. Da un lato si recuperavano gli anni Settanta e la psichedelia, dall’altro si sfoltivano gli intrichi strumentali più cervellotici che avevano caratterizzato un album come “Blood Mountain” (2006), soprattutto a livello di pattern di batteria. Intanto la band di Atlanta abbracciava con entusiasmo l’hard rock classico e lo mischiava col progressive, lasciando in soffitta le più dure componenti postcore e sludge che avevano contraddistinto i suoi primi lavori. In breve, quell’opera segnava una svolta netta nella trasformazione stilistica di Nostri, la più netta. Molti ne son rimasti entusiasti, altri hanno preferito un po’ di sano scetticismo – fra i quali il sottoscritto, anche se nel corso degli anni ha rivalutato quell’emissione – e altri ancora hanno rimpianto i ‘vecchi’ Mastodon. Quel che è stato chiaro a tutti, però, è che non sarebbero più tornati indietro.
“The Hunter” arriva quale piena conferma di questo presentimento condiviso. Infatti, il quinto album in studio del quartetto georgiano è probabilmente il loro lavoro meno strettamente ‘metal’ di sempre, in cui la tradizione rock incombe costante su ogni nota e ne informa lo spirito complessivo. In linea di massima, condivide molti spunti già presenti nel suo predecessore, ma li risolve in un modo più lineare e devoto alla forma – canzone. Laddove “Crack The Skye” era appesantito dalla struttura a concept e da una lunghezza dei brani eccessiva, “The Hunter” è al contrario in grado di muoversi più agile e sciolto tra 13 tracce che oscillano fra scampoli di prog metal vero e proprio (All The Heavy Lifting), hard rock sabbathiano virato stoner (i riff grassi e spessi del secondo singolo “Curl Of The Burl” e di “Spectrelight”, anche se quest’ultima è molto più pesante e potrebbe ricordare gli High On Fire), qualche lieve accenno ai Mastodon che furono (lo scream e i tempi agitati di “Basteroid“) e tanta psichedelia diluita in soluzioni composte da southern rock e metal quasi sempre orecchiabili e mai eccessivamente feroci, tanto che le voci utilizzate sono quasi sempre pulite. Gli esempi che si possono fare per illustrare questo approccio sono molti: “Stargasm” e la successiva “Octopus Has No Friend” condividono la presenza di ritornelli melodici e facilmente assimilabili, i quali sono però inseriti in un contesto cangiante e carico di sostanza acida, che si libera soprattutto negli assoli di chitarra. La conclusiva “The Sparrow” è una trasognata ballad lisergica. La canzone simbolo dei Mastodon nel 2011 è però proprio la title – track dell’LP, che pare un pezzo dei Pink Floyd risuonato dai Lynyrd Skynyrd, con tanto di epico solo alla sei corde nel finale. Psych southern rock lo si potrebbe definire.
Oggi questi quattro ragazzi del sud, con “The Hunter”, sono riusciti ad essere esattamente quello che volevano diventare da qualche anno a questa parte: un complesso in grado di riempire gli stadi e di dare alle stampe una collezione di potenziali singoli, con una produzione adeguata al pubblico che vogliono raggiungere e una fruibilità di fondo che non è mai stata così elevata. Tuttavia, rispetto a molti colleghi accomunati dalla stessa brama di successo, loro riescono a spiccare sulla massa grazie a uno stile molto personale, a idee interessanti e originali e ad un ‘tiro’ non così comune. Hanno cambiato pelle, ma la qualità è rimasta alta. “Crack The Skye” era il classico disco di passaggio, questo invece appare più definitivo e molto più a fuoco nei suoi intenti. Scordatevi “Leviathan” e il periodo Relapse, non tornerà più. Se riuscite, provate a gustarvi un’ottima rock band.
Stefano Masnaghetti