Freiheit Overture – Convict – I’m American – One Foot In Hell – Hostage – The Hands – Speed Of Light – Signs Say Go – Re-arrange You – The Chase – A Murderer – Circles – If I Could Change It All – An International Confrontation – A Junkie’s Blues – Fear City Slide – All The Promises
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In una parola, Mindcrime II è un disco irritante. E’ irritante, scomodo e antipatico quando si cerca di proporre il seguito di un’opera di un certo spessore: è facile non rivelarsi all’altezza, è facile cadere in paragoni difficili, è improbabile riuscire a creare per la seconda volta qualcosa di ugualmente magico. Eppure potrebbe essere in qualche modo interessante e curioso rivivere nuovamente, magari sotto una nuova prospettiva, qualcosa che ci aveva appassionato tanto. Diciamocelo: sotto sotto a tutti piacerebbe avere un altro capolavoro. E invece Mindcrime II risulta irritante ancora prima di entrare nel lettore perché è il seguito di uno dei dischi più famosi del rock, il seguito di un concept album di enorme successo di pubblico e di critica. Concept orchestrato, e questa è un’aggravante, da una band tra le più influenti degli anni ’80 ma che da troppo tempo non solo non è riuscita a bissare il successo di Mindcrime I, ma che è anzi caduta in una spirale di dischi forse coraggiosi, forse innovativi, ma di sicuro sempre più criticati e sempre meno apprezzati. Quindi è facile vedere questo seguito come un mezzo comodo e rapido per ottenere facile supporto da quel tipo di pubblico che dalla band stessa è stato bistrattato per così tanto tempo (18 anni, tipo). Mindcrime II è irritante perché illude l’ascoltatore. La copertina però è orribile quanto l’originale, ve lo concedo. Partenza. Intro con sintetizzatori cupi e sinistri per poi sfociare in un’overture di rock sinfonico, intermezzo parlato con la liberazione del protagonista, attacco con pezzo potente. Già, ‘I’m American’ prende nella secchezza dei suoni e nel tiro dei riff e dei cori, come da tempo i Queensryche non sapevano coinvolgere. Poi inizia l’incubo. Una serie impressionante di lenti, di pezzi che mai esplodono, fanno davvero incazzare perché ti aspetti di stare ascoltando solo un intermezzo, vuoi quella crescita, quell’orgasmo che non arriva mai. Pezzo moscio dopo pezzo moscio, viene quasi da vergognarsi quando vengono buttati in mezzo senza gusto e senza criterio i riff e le melodie del primo episodio. Qualcosa prova a muoversi con ‘Signs Says So’ e ‘Re-arrange You’, ma viene un nodo in gola anche solo ripensando a ‘Spreading The Disease’, ‘Revolution Calling’ e ‘The Needle Lies’. Viene da piangere quando, ovviamente, vengono riproposti i duetti con Pamela Moore, questa volta senza il minimo mordente della suite originale ma anzi con delle orchestrazioni da far rivoltare nella tomba il buon Michael Kamen. Viene da dire ‘Ma cosa cazz?’ quando parte il duetto con Ronnie James Dio, nella parte del Dr.X, perché sembra di stare in una delle infinite ‘metal opera’ del power metal europeo invece che sul disco DI UNA DELLE PIU’ TALENTUOSE ROCK BAND DEL PIANETA. Quanto talento sprecato in spocchioso autocompiacimento. Sono lontani i tempi di quel magico album dove ogni canzone era una gemma a sé stante, un classico, e una volta messe tutte insieme creavano una corona. E alla fine ci irritiamo ancora di più quando realizziamo che il primo pezzo che ci era piaciuto tanto, e che lasciava presagire tante cose belle, non sembra nient’altro che una b-side degli Iron Maiden. Io dico che la mancanza di DeGarmo si fa sentire.
Sono sembrato troppo drastico nel giudizio? Forse qualcuno troverà esagerate le mie parole. Forse chi ha sempre apprezzato i Queensryche anche in dischi come ‘Q2K’ e ‘Tribe’ troverà ancora più coinvolgente Mindcrime II. Il mio giudizio rimane così drastico perché la band di Seattle ha osato troppo nel riesumare il vecchio capolavoro, per creare una cosa che, anche considerata a sè stante, come concept fa acqua da tutte le parti.
M.B.
Dai, ditemi che qualcuno s’aspettava un capolavoro o comunque un disco che potesse lontanamente avvicinare il Mindcrime dell’88 che lo esponiamo al ludibrio pubblico istantaneamente. Queste aspettative significano poco nel biz moderno, motivi squisitamente commerciali spingono oggigiorno a riesumare lavori storici nella storia del rock e dell’heavy, cercando di convincerci che davvero c’era bisogno di continuare saghe e leggende oramai consegnate all’Olimpo delle sette note. Il fatto è che i Queensryche peggio delle ultime uscite difficilmente avrebbero potuto fare. Intendiamoci, “Tribe” era un bel disco pop, ascoltabile per rilassare le tempie e farci abbassare le palpebre, per questo mi sarei aspettato un disco più convinto e ‘rock’ a priori, senza essere costretto a vedere il fastidioso “II” vicino a Operation:Mindcrime. Comunque questa non è un’analisi negativa. Il disco sostanzialmente mi è piaciuto, l’unico problema è un inizio tracklist in cui Tate e compagni, escludendo l’opener, suonano col freno a mano tiratissimo. Fortunatamente il disco riprende quota da “Signs Say Go” alla fine, portando il coinvolgimento dell’ascoltatore a buoni livelli, ripagando dell’inganno iniziale quando dopo la veloce e bellissima “I’m American” si finisce nell’oblio. Mi sembra inutile raccontarvi cosa succede a Nikki o a Dr.X, lo scoprirete da soli, sappiate che i ‘ryche pesanti, come in “A Murderer”, orchestrali, ricchi di chorus e interpretativi (“If I Could Change It All” su tutte) non li sentivamo da un pezzo. In conclusione una prestazione più che sufficiente, nonostante le perplessità iniziali. Un disco che riporta i Queensryche in ottica hard rock, che allontana le smancerie degli ultimi anni e che se non altro avrà il merito di portarli in giro in un tour che, stando alle voci, li vedrà presentare entrambi i capitoli della saga di Mindcrime.
J³