Sleep Token – Sundowning
Di “Sundowning” e degli Sleep Token ne abbiamo già parlato a profusione, soprattutto qui. Ora che il primo full-length di Vessel è fuori in toto, non possiamo far altro che confermare le ottime sensazioni del passato. Miscelando con sapienza e astuzia sonorità djent, pop ed elettroniche, chiamando pure in causa artisti diametralmente opposti come Bon Iver e Deftones, gli Sleep Token vincono la sfida del crossover moderno (prendete solo “Dark Signs”, “Higher” e “Blood Sport”) con uno dei dischi più memorabili del 2019.
Valiant Hearts – Odyssey
Che cos’è un’odissea se non un lungo viaggio per tornare alla fine dove tutto è iniziato, ovvero a casa? Ce la raccontano i Valiant Hearts in “Odyssey” attraverso un popcore (o biebercore se preferite, ma con pochissima elettronica) con la testa e lineare solo all’apparenza, ricco di dissonanze e cambi improvvisi di tempo (“Colourwave” e “Medusa”) e reminiscenze alla Eidola, una versione meno tecnica e intellettualoide sicuramente (“Like Ships In the Night”), ma allo stesso modo efficace.
Hypno5e – A Distant (Dark) Source
Dopo la parentesi acustica e minimalista di “Alba – Les ombres errantes” (2018), gli Hypno5e tornano a dedicarsi all’aspetto più “cinematico” della propria proposta (che poi è quello che li ha resi conosciuti nelle pieghe più sperimentali del metallo contemporaneo) con “A Distant (Dark) Source”. Avvolgendosi come da tradizione in un’aura di mistero e ambiguità, la formazione di Montpellier confeziona un concept sulla storia di un lago boliviano e della sua scomparsa a causa dei cambiamenti climatici, indagandolo in cinque pezzi ognuno diviso in tre parti. Epico, malinconico, intellettuale e geniale nelle sue intuizioni più heavy (vedi il terzo capitolo della title track).
Lindemann – F & M
Nello stesso anno del tanto atteso ritorno dei Rammstein, Till Lindemann (accompagnato dal fido Peter Tägtgren) dà alle stampe “F & M”, il secondo album solista. Si torna al tedesco (dopo l’esperimento in inglese non proprio riuscito del precedente “Skills In Pills”), per un divertissement in cui non manca nulla, anzi, c’è forse un po’ troppo di tutto, dato che si tira pure in ballo la trap (“Mathematik”), gli arrangiamenti sinfonici ultrapomposi (“Steh auf”), i ritmi spagnoleggianti (“Ach so gern”) e il folk (“Knebel”).
Lone Survivors – Ground Zero
Ci sono voluti quasi due anni per i francesi Lone Survivors per produrre il disco di esordio, “Ground Zero”, partendo da una novella fantascientifica scritta dal bassista Olivier Crescence. Un’opera molto ambiziosa basata su un progcore con momenti pesanti da manuale (“Paul the Saint”) e poliritmie al limite del mathcore (“Six Feet Under”), in cui troviamo una nostra vecchia conoscenza dietro al microfono, Matthieu Romarin degli Uneven Structure. E proprio come per gli Uneven Structure, il problema dei Lone Survivors è di essere arrivati troppo tardi in un ambiente ormai sovraffollato, pur essendo tecnicamente indiscutibili.