Thornhill – The Dark Pool
La farfalla dei Thornhill ha spiegato le sue ali in un tripudio di colori e sfumature. Da “Butterfly” appunto, l’EP dello scorso anno che ci aveva fatto drizzare le orecchie per usare un eufemismo, il giovane combo australiano è cresciuto esponenzialmente, prendendo in prestito diverse idee altrui (citiamo solo Tesseract, Northlane, Novelists e Architects) ma amalgamandole in un mix davvero personale, in cui non mancano aggressioni frontali (la opener “View From the Sun, per esempio) ed episodi più atmosferici (“Red Summer”) oltre a una sfilza di ritornelli killer (“Lily & the Moon”, ma anche “Nurture”). Uno dei dischi migliori dell’anno, nel suo genere (e non solo).
Norma Jean – All Hail
Riuscire ad attestarsi su livelli altissimi era una prova del tutto semplice per una band come i Norma Jean. A tre anni dallo spettacolare “Polar Similar”, la strada su cui la formazione prosegue è molto simile, ma non per questo ripetitiva o ridondante. L’alt-metal verso il quale ormai i NJ si sono orientati è più cupo e aggressivo che mai, presente in misura diversa in tutte e tre le parti in cui “All Hail” è diviso (soprattutto nell’ultima, con pezzi a modo loro catchy come “Anna”, che fa molto l’eco agli Underoath ultima maniera). Un album che non può lasciare indifferenti tutti gli amanti del –core, in tutte le sue declinazioni.
Sunn O))) -– Pyroclasts
A pochi mesi da “Life Metal”, i Sunn O))) danno alle stampe un nuovo disco, “Pyroclasts”, che è una diretta emanazione del lavoro precedente, essendo stato registrato durante le session dell’ottavo full-length del combo statunitense (legato, manco a farla apposta, a un personaggio che troveremo qualche riga più sotto). Un’urgenza creativa ed espressiva, che si traduce in un’opera non per forza cupa e pessimista, nascosta sotto la coltre di fumo, gelo e distorsioni drone (tipo “Frost (C)” e soprattutto “Ampliphaedies (E)”).
Mayhem – Daemon
“Daemon” è l’incarnazione dello stato dell’arte attuale dei Mayhem e di quel particolare black metal di cui erano paladini ormai diversi anni orsono. Il sesto album dei Nostri mostra la faccia più malvagia e ferale della formazione norvegese, quella meno sperimentale e senza troppi fronzoli, ma sicuramente più immediata ed efficace. Fin dalla opener “The Dying False King” Attila Csihar e soci mettono bene in chiaro, se non si fosse ancora capito, chi è che comanda. E guai a mettersi a discutere con loro.
Fit For An Autopsy – The Sea Of Tragic Beasts
Che il deathcore sia un genere in declino da anni lo sanno anche i muri, ma è al contempo vero che ci sono diverse band che stanno cercando di tenerlo in piedi modificando e rinvigorendo la propria proposta. Dopo il buono ma non troppo impattante “The Great Collapse” (2017) i Fit For An Autopsy tornano con “The Sea Of Tragic Beasts” (titolo e copertina azzeccatissimi), in cui migliorano gli aspetti positivi della precedente uscita (vedi produzione, guitar work, atmosfere depresse) portandoli al livello successivo. Niente di nuovo in assoluto, ma pezzi come “Mirrors”, “Shepherd” e “Unloved” lasciano presagire un futuro meno fosco per il deathcore.