Dai e dai i più cazzoni tra i grandi dell’alternative rock anni ’90 sono ancora in giro. Dopo due anni di reunion finalmente esce un nuovo disco degli Stone Temple Pilots, band problematica sia per componenti (Scott Weiland ha causato grattacapi alle questure di tutto il mondo) sia per lo spirito della formazione stessa. Mai originali ma sempre con un loro gusto personale, mai essenziali (senza offesa ma Nirvana, Alice In Chains, Pearl Jam e Soundgarden ci mangiano sopra a questi) ma sempre pieni di carisma e belli da vedere.
Dopo tormentoni come “Sex Type Thing”, “Interstate Love Song” e “Vasoline” (che comunque hanno creato una bella schiera di copiazzoni), la band era sopravvissuta molto più del previsto…ma andando ad infangarsi in lavori inconcludenti come “Shangri-La Dee Da” (2001). Non meritava un simile finale, quindi ecco la continuazione della storia con questo nuovo omonimo. Il disco non è un nostalgico tuffo nel passato ma è un divertente ammasso di rock molto ben arrangiato: 13 pezzi vari, brevi e divertenti che passano per diversi stili mantenendo un’identità precisa. Pur essendo un lavoro nato senza Weiland (dei fratelli DeLeo la maggior parte delle idee), l’apporto del cantante è stato fondamentale nel plasmare la forma finale delle canzoni. Ci sono i rock secchi e concisi dei singoli (“Between The Lines” e “Take A Load Off”), ci sono gli omaggi ad Aerosmith (“Huckelberry Crumble”, “Bagman”) e Beatles (“Dare If You Dare”), il pop di “Cinnamon” e il groove di “Hazy Daze”, fino a giungere al gustoso revival anni ’90 di “Fast As I Can”, all’obbligatoria ballatona “Maver” e alle sperimentazioni di “First Kiss On Mars” e “Samba Nova” (molto azzeccata nel suo spirito latino americano).
Si sente un po’ la mancanza dei CHITARRONI maiuscoli di una volta, non c’è ovviamente alcuna rivoluzione o sound contemporaneo ma è ben costruito e gustosissimo. E scusate se è poco.
Marco Brambilla