Chris Cornell, nessuno canterà mai più come te

Il display del mio telefono si illumina. “Hai sentito di Cornell?“. Penso finalmente! I Soundgarden ritornano in Italia, avrò di nuovo l’occasione di sentire dal vivo il mio cantante preferito. Poi guardo meglio. Ci sono chiamate, altri frammenti di disperazione. “Dimmi che non è vero, ti prego”. Allora capisco che per me il rock per come lo vivo e concepisco è morto per sempre.

Non so perché, forse per il fatto di avere amato così intensamente l’era del Grunge e tutte le sue sfumature e contraddizioni, ho pensato subito a un’intervista rilasciata al regista Cameron Crowe qualche anno fa per il documentario celebrativo dei Pearl Jam “PJ20”, dove gli veniva chiesto di quei tempi, delle sensazioni che c’erano dietro il sipario, a luci spente, fuori dai locali e dietro le copertine di quegli album che vendevano a milioni in tutto il mondo. Cornell si incupisce davanti alla telecamera, i suoi occhi verdi diventano un mare calmo e oscuro, guardano dentro e lontano nel tempo. Ricorda il suo amico Andrew Wood, cantante dei Mother Love Bone morto di overdose nel 1990.
Incredibilmente Cornell diventa fragile, ferito. Dice che il Grunge ha avuto il suo momento di massima esplosione quando era già morto, perché lui aveva visto morire quello spirito negli occhi vacui dell’amico Andrew, inerme in un letto di ospedale di Seattle. Cornell si mette a piangere e quasi mi trovo a provare imbarazzo. Perché non ti aspetti dai tuoi eroi dei momenti simili. E ti chiedi, per forza di cose, se il Grunge era già una menzogna ai tempi di “Superunknown” e “Badmotorfinger”, cosa può essere adesso? Come si fa a fare il frontman di un gruppo alla veneranda età di 52 anni, se già non ci credevi quasi trent’anni fa?

Pensi a quegli occhi, quello sguardo che hai già visto in altri eroi caduti di quell’era. Pensi alla rabbia a stento trattenuta, quella mandibola sempre tesa di Kurt, i suoi mal di pancia, lo sguardo rassegnato alla vita di Layne, che aveva perso tutto quello per cui lottare e si è lasciato trasportare nell’oblio. Quello di Scott Weiland, che si è lasciato consumare da una fiamma già spenta da tempo. Quella menzogna ha continuato a logorare dentro chi la perpetrava, ogni centesimo guadagnato con quelle note e quella moda erano incrinature nell’anima dei suoi più acclamati eroi.

Chris era il più splendente di tutti. Già alla fine degli anni ’80 lui spuntava ai party di Seattle con i signori nessuno che sarebbero diventati celebri nel decennio successivo come una star. I suoi Soundgarden sono stati i primi a girare il mondo con la loro potenza. Lui era il più alto, aveva i capelli più lunghi, era il più bravo in tutto. A cantare, a scrivere, a vendersi. Era il più bello. Forte. Inarrestabile.

Con lui abbiamo attraversato una parte consistente del rock, prima con la carriera praticamente priva di insuccessi dei Soundgarden. Noi fan lo abbiamo seguito nella sua decisione di abbandonare il gruppo e intraprendere la carriera solista, componendo il bellissimo “Euphoria Mourning” nel 1999 che andò male a livello di vendite, ma che con il passare degli anni si sta sempre più candidando come perla da scoprire del rock contemporaneo. L’oblio successivo e la rinascita con gli Audioslave.

Dopo la parentesi cantautoriale e raccolta di “Euphoria Mourning”, con gli Audioslave tornava a ruggire con la potenza vocale già nel 2002 arrochita dagli anni ma con una qualità di scrittura eccezionale. Le sue canottiere e il suo pizzetto hanno fatto scuola e pezzi come “Cochise” e “Like a Stone” sono già classici imperituri.

Di nuovo da solo nel 2007 con “Carry On” e dal vivo nel suo tour tornano le canzoni del suo passato, così che nasce una speranza ormai assopita tra i suoi fan, che nel 2010 diventa realtà: riprendono vita i Soundgarden.

Da allora e con la brusca interruzione di oggi Cornell ha regalato ai fan suoi e del rock degli anni ’90 solo gioe. La reunion dei Soundgarden, quella dei Temple Of The Dog, addirittura un concerto come frontman dei Mad Season. Un sogno. Si vociferava di un nuovo ritorno degli Audioslave, di un album di inediti dei Temple Of The Dog. Si aspettava un nuovo album dei Soundgarden. Tutto si infrange in questa giornata che sembra avvenire in un mondo parallelo parecchio vicina alla mia concezione di inferno.

Se per morte naturale o no, ripenso a quello sguardo in quella intervista. Al suo crollo emotivo, come di un muro che si sbriciola sotto il peso di anni ad essere il più bello, il più forte, il più rumoroso, per qualcosa che nemmeno ti ricordi cosa fosse.

Forrest Gump guardando Elvis dice: “Deve essere dura essere il re”. Deve essere dura. Noi tutti guardavamo come cantava, come si vestiva. Come invecchiava. Ora non c’è più il rischio che ci deluda, che invecchi. Chris Cornell è morto. Anche a me che scrivo questo articolo è servito vederlo nero su bianco per accettarlo e realizzarlo.

Ora la nostra vita di amanti della musica è arrivata a un bivio. D’ora in poi ci sarà una storia della musica prima di Cornell, e una dopo. È diventato un mito, sarà per sempre il nostro eroe. E per la musica che verrà saremo più intransigenti, perchè i gruppi che vorranno fare rock dovranno essere degni alle nostre orecchie di quello che Chris Cornell ci ha regalato in tutti questi anni.

Ora Chris Cornell e Andrew Wood sono di nuovo coinquilini e potranno insieme salutarci il paradiso. Deve essere dura essere il re.

Foto copertina di Giuseppe Craca