Intervista Dream Theater tour 2012

Intervista Dream Theater tour 2012

In occasione della tappa milanese del tour 2012 dei Dream Theater, abbiamo avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con John Petrucci, fra i fondatori di quella che ormai è un’istituzione del progressive metal. Anzi, del prog contemporaneo tutto, dato che è lo stesso chitarrista a definire il Teatro un gruppo di rock progressivo, privo di altre sotto etichette. Preamboli a parte, il musicista, nonostante non sia stato molto bene poco prima, è raggiante di trovarsi a suonare in Italia, luogo che ha regalato sempre molte soddisfazioni al quintetto: “Ci piace molto suonare nel vostro paese, sin dai nostri esordi ci siamo trovati particolarmente bene e quando organizziamo un tour europeo cerchiamo sempre di inserire qualche data italiana“. Ma è l’Europa in generale ad essere molto interessante per Petrucci: “Quando facciamo una tournée nei Stati Uniti, viaggiamo per vari stati ma alla fine ci troviamo sempre nella stessa nazione. Qui invece è diverso. Il martedì puoi essere in Germania e il giorno dopo in Italia e così via. Cambi paese in continuazione, e ogni volta che succede cambia tutto: il modo di vivere, il cibo, la lingua…trovo tutto questo molto stimolante“.

A questo giro i Nostri stanno promuovendo il loro ultimo album, “A Dramatic Turn Of Events“, uscito lo scorso settembre. Ma quali sono state le reazioni da parte dei fan a questa nuova fatica? “Il disco è stato accolto benissimo, in tutta sincerità persino meglio del precedente. In USA è entrato nella top ten, i fan ne sono stati subito entusiasti, e anche a livello live le nuove composizioni hanno fatto una buonissima impressione sin dai primi concerti. E abbiamo anche ricevuto una nomination per i Grammy. Insomma, le cose non potrebbero andare meglio di così“. Ma come nasce un album dei Dream Theater? Quali sono le maggiori preoccupazioni in fase di scrittura? Le reazioni dei fan, oppure l’intima ispirazione dei membri? “Credo sia una via di mezzo. Sicuramente cerchiamo di essere genuini nelle nostre intenzioni, componendo con il nostro gusto personale. Ma non c’è nulla di male nel tenere in alta considerazione anche le aspettative del nostro pubblico. E soprattutto pensiamo anche a come le canzoni potrebbero suonare dal vivo, per noi questo è importantissimo“.

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Parlando del materiale suonato on stage, “A Dramatic Turn Of Events” è l’undicesimo album in studio nel corso della carriera del complesso. Questo significa una grande quantità di brani da scegliere o scartare per formare una setlist: un compito arduo, e Petrucci è il primo a esserne cosciente: “Sicuramente è dura decidere cosa suonare ogni sera. In genere però iniziamo a regolarci sapendo quanto tempo abbiamo a disposizione; se è poco evitiamo i pezzi più lunghi, se invece abbiamo due ore possiamo sbizzarrici. Proviamo sempre ad organizzare uno spettacolo con un determinato inizio e una fine che sia coerente con esso; in breve, a progettare lo show scegliendo le canzoni che ci dà più gioia suonare e quelle che hanno fatto breccia nel cuore dei fan. In questo tour ci basiamo soprattutto sul materiale del nuovo disco, ma cerchiamo anche d’inserire alcuni episodi del passato che si amalgamino meglio con il mood delle nuove tracce. Certo è difficile, ma siamo contenti di avere questi problemi, perché vuol dire che stiamo avendo una carriera fantastica. Ovviamente ci sono stati alti e bassi, soprattutto all’inizio, periodo in cui per qualche anno abbiam vissuto sulle montagne russe. Quando è uscito il primo album, ‘When Dream And Day Unite’, eravamo esaltatissimi: primo disco, primo contratto discografico, eravamo ragazzini ed era tutto un sogno. Però ha venduto poco, abbiamo lasciato andar via il cantante che avevamo (Charlie Dominici, ndr.), siamo rimasti senza contratto e senza singer…insomma un incubo, siamo arrivati a credere di esser già finiti. Per fortuna poi è arrivato James LaBrie, un nuovo contratto e ‘Images And Words’ è stato un successo incredibile. Ma sono stati momenti davvero pazzeschi, un saliscendi emotivo incredibile“.

Oggi però John e compagni hanno da poco affrontato un altro cambiamento molto, molto importante. L’abbandono dello storico batterista Mike Portnoy, anch’egli membro fondatore e da più di un quarto di secolo nella formazione. Com’è stato affrontato questo scossone alla line – up? E com’è lavorare con Mike Mangini? “Certo, ho suonato con Mike per tantissimi anni, e sicuramente ci manca. Tuttavia è stata una sua decisione, voleva cambiare e noi rispettiamo questa sua scelta. D’altra parte Mangini è un batterista formidabile e, altra cosa importante, una grande persona, con cui è un piacere confrontarsi. Con lui ci siamo divertiti molto in studio e ci stiamo divertendo anche adesso durante il tour“.

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Certo più di 25 anni sulle scene sono parecchi, e in un lasso di tempo così esteso i Dream Theater hanno fatto in tempo a vedere moltissimi cambiamenti nel mondo della musica e del music biz. Com’è stato l’impatto di internet su tutto questo? Le nuove modalità di fruizione da parte del pubblico stanno facendo bene o male alle band? “Ormai è tutto diverso, si tratta di una nuova generazione. Alcune volte internet è un grande mezzo promozionale per gli esordienti. Sto pensando al gruppo che aprirà il nostro concerto, i Periphery: ecco, loro devono quasi tutto al web, sono nati e si sono fatti conoscere grazie a quello, e si tratta di qualcosa di grandioso. Però bisogna cercare comunque di dare una limitazione per tutelare il diritto d’autore delle opere d’ingegno e d’intelletto. Non sto dicendo di chiudere tutto, sia chiaro, ma la proprietà intellettuale è qualcosa per cui, tanto o poco, si deve pagare, e ci dovrebbe essere una regolamentazione migliore di quella esistente“.

Abbiamo di fronte un grande chitarrista. Per concludere sembrerebbe opportuno chiedere qualcosa di più sul suo rapporto con la musica. Chi sono stati i chitarristi che l’hanno ispirato in gioventù? E cosa significa quest’arte per lui? “Il primo chitarrista ad avermi impressionato è stato Steve Morse, adoravo tutto nel suo modo di suonare. Poi, accanto ad esso, mi piacevano moltissimo anche Steve Howe degli Yes e Alex Lifeson dei Rush, sono un grande fan di questi gruppi. E Randy Rhoads. Insomma, tutti i grandi. Poi col tempo mi sono avvicinato anche a figure di chitarristi più ‘tecnici’ come Al Di Meola e simili. E ovviamente anche Joe Satriani, con il quale spero di tornare presto a suonare nel G3. Cosa rappresenta per me la musica? Diciamo che è una parte di me, esprime la mia personalità, quindi ormai è qualcosa di cui non posso fare a meno. Non posso fare a meno di suonare e comporre. E anche qualcosa di davvero particolare, perché tramite essa mostri alle altre persone qualcosa di te stesso molto profondo, è quasi come se condividessi alcuni dei tuoi sentimenti più intimi“.

Stefano Masnaghetti

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