Aerosmith e Placebo, il report e la scaletta della prima giornata di Firenze Rocks

Una giornata come quella del 23 giugno 2017 non può essere facilmente dimenticata, soprattutto se attesa da mesi e se in quel della Visarno Arena si esibiscono due band, Placebo e Aerosmith, che alla tua veneranda età non hai mai avuto modo di gustarti dal vivo. Bene, finalmente il grande giorno è arrivato e di certo non mi ha lasciato con l’amaro in bocca. Due formazioni diametralmente opposte, con una storia in entrambi i casi lunga ma estremamente differente, che hanno però spaccato allo stesso modo. Ma sto correndo troppo, andiamo con ordine.

Pochi minuti prima delle 19, i maxischermi trasmettono il video celebrativo dei venti anni di carriera con i quali i Placebo sono soliti aprire le date del loro ultimo tour, e alla chetichella appaiono dapprima la backing band, e poi il bassista Stefan Olsdal, e dulcis in fundo, Brian Molko in pantaloncini. Adorabile. Ma non fatevi ingannare dalla mise da scolaretto, perché i Nostri hanno davvero pettinato tutti, con suoni distorti ed energia da vendere. A partire dalla opener “Pure Morning“, tratta dal capolavoro del 1998 “Without You I’m Nothing”. Il concerto però prende davvero il volo dopo il saluto del frontman in seguito alla più recente “Loud Like Love” (“Grande Firenze Rocks, va bene? We are Placebo from London”. Adorabile parte due). Il set, come da previsioni, ha esplorato i due decenni di carriera della formazione (duo ormai) britannica, dalla strepitosa “Nancy Boy” alla stranota “Song To Say Goodbye“. Insomma, altri venti di questi anni a Molko e Olsdal.

Placebo, la scaletta del concerto

Pure Morning
Loud Like Love
Jesus’ Sun
Soulmates Never Die
Special Needs
Too Many Friends
Twenty Years
For What It’s Worth
Slave To The Wage
Special K
Song To Say Goodbye
The Bitter End
Nancy Boy
Infra-Red
Runnin Up That Hill (Kate Bush cover)

Inutile dire che però la maggior parte dei quarantamila presenti era per lì per gli Aerosmith. “Carmina Burana”, intro celebrativa e si parte in quarta con “Let the Music Do the Talking“. E mentre la band suonava i suoi maggiori successi, vedi alla voce “Rag Doll“, “Love in an Elevator” e “Janie’s Got a Gun“, con qualche chicca da super intenditori (“Nine Lives“), il mio unico pensiero era: “Se esiste una medicina per arrivare a 69 anni come Steven Tyler datemela subito”. A parte l’aspetto fisico, che avercene anche solo di ventenni come lui, figurati di settantenni, la voglia di sbattersi, di saltare, di urlare (anche se a volte lo ammetto, il freno a mano era leggermente tirato, come se volesse risparmiarsi per il finale eccezionale di “Dream On“), è merce molto rara. E Lo dice una la cui band preferita non sono mai stati gli Aerosmith, ma Tyler è l’incarnazione del mito della rockstar: sempre giovane, bello, invincibile di fronte a tutto. E anche il suo “toxic twin” Joe Perry non scherza, e oltre a deliziarci con la sua chitarra, prende di tanto in tanto il microfono per far riposare l’ugola del cantante, mentre il resto della storica band continua da bravi professionisti quali sono. Una performance mai troppo tirata né troppo stanca per una formazione che tra alti e bassi è insieme dal 1970, e che nonostante quanto dichiarato dagli Aerosmith stessi, non sembra avere alcuna intenzione di andare in pensione.

Aerosmith, la scaletta del concerto

Let the Music Do the Talking
Young Lust
Rag Doll
Livin’ on the Edge
Love in an Elevator
Janie’s Got a Gun
Nine Lives
Stop Messin’ Around (Fleetwood Mac cover)
Oh Well (Fleetwood Mac cover)
Sweet Emotion
I Don’t Want to Miss a Thing
Come Together (The Beatles cover)
Chip Away the Stone
Cryin’
Dude (Looks Like a Lady)

Encore:
Dream On
Walk This Way