Per chi avesse timori sulla tenuta live di Bryan Adams, prossimo al traguardo dei sessant’anni, tranquillizziamo tutti fin dalle prime battute: il cantautore/fotografo/Dio Dorato di Kingston, Ontario, c’è e sta alla grandissima. Ciò che è mancato al suo concerto di Padova alla Kioene Arena, prima tappa del suo tour italiano e suo ritorno in Italia dopo diversi anni di assenza, sono alcune sfumature importanti nel lato sonoro che hanno inevitabilmente influenzato la resa complessiva della serata.
Due le cose che hanno penalizzato non poco il concerto del musicista nordamericano. La prima sono dei suoni non all’altezza di un performer del suo calibro, cosa influenzata in parte dall’acustica del palasport ma, soprattutto, da dei fonici autori di un lavoro ricco di ombre e scarso di luci. Un esempio eclatante: il fatto che da questo punto di vista il concerto inizia a decollare solo al sesto pezzo, con “It’s Only Love” incisa in collaborazione con Tina Turner, rendendo uno dei pezzi più attesi della serata come “Heaven” un’ottima occasione per sing along ma, per il resto, un pezzo vuoto e senza mordente. L’altro è il fatto che i due musicisti con i quali collabora sin dagli albori, e si parla del 1981, sono di fatto ciò che tirano il freno all’intero concerto. E’ comprensibile il fatto che Keith Scott e Mickey Curry accompagnino praticamente da sempre Adams, con il chitarrista che a quanto è emerso in passato sarebbe anche il miglior amico del musicista, ma non ci si può nascondere dietro a delle lacune tecniche fin troppo evidenti che emergono in numerosi passaggi.
Per il resto, il concerto di Bryan Adams è stato uno spettacolo per le orecchie e per gli occhi. Sì, perché dal lato visivo il concerto è stato qualcosa di strepitoso, a conferma del talento di Bryan Adams come fotografo e della cura maniacale anche su questo fronte. Oltre ai numerosi video ripresi, tra i quali uno spassoso video introduttivo e alcuni lyric video scritti ad hoc (“Summer of 69”), sono l’immenso pannello visivo sul retro e i giochi di fari a catturare l’attenzione, che inondano di luce il palco nei pezzi più rock, mettono in penombra la sagoma di Adams durante le ballad o trasportano in una lisergica passerella da ballo, con esplosioni di colore, durante la canzone “The Only Thing That Looks Good on Me Is You”. Un momento, però, fa capire l’immenso lavoro dietro al lato visivo dello show, ed è nella conclusiva “All For Love”, che vede una ripresa camera fissa dal retro di Bryan Adams, letteralmente abbracciato dal suo pubblico.
Ma parliamo dell’attrazione principale della serata. Come già detto, lui c’è e ha dimostrato in un paio d’ore di godere di uno stato di forma invidiabile, e non solo per il blazer e la camicia con il primo bottone aperto che indossa come se fosse un modello ventenne, e un forte legame con i fan, che dimostra soprattutto nel finale del concerto quando ringrazierà commosso il bagno di applausi del numeroso pubblico. Musicalmente è inattaccabile: la sua voce è ancora quella dei tempi d’oro, e i momenti nei quali fatica non sono praticamente pervenuti, e si destreggia bene nell’uso dell’armonica e nel suo ruolo di chitarrista ritmico. Ciò che stupisce è il suo lato di stand-up comedian che non è emerso nelle cronache: sì, Bryan Adams è un bonaccione che nel corso della serata si girerà di spalle per mostrare come si “shake your ass” nel rock and roll di “You Belong To Me”, tratto dall’ultimo disco, presenterà scherzosamente l’ingresso sul palco di Tina Turner e Rod Stewart (tranquilli, non c’erano) e racconterà, in un encore acustico che ricorda più una serata in un pub che un concerto in un enorme palasport, aneddoti sulla sua prima esibizione in Sud Italia nel lontano 1983.
Chiudiamo con la scaletta: una bomba, un vero e proprio best of costruito ad hoc nel quale i pezzi di “Get Up!” si inseriscono senza sfigurare in un confronto con i brani del passato. Saccheggiati “Reckless” e “Cuts Like A Knife”, i due primi grandi successi del canadese, ma ampio spazio anche ai brani scritti in collaborazione con altri e anche a quell’ “18 Till I Die” che è stato a suo modo un disco di svolta, con la sola “Cloud #9” a rallentare uno show che altrimenti è partito bene e terminato meglio, tra momenti rock, intermezzi acustici e le ballad che hanno caratterizzato buona parte della sua carriera, con “Heaven” ed “(Everything I Do) I Do It For You” nelle quali la voce del pubblico sovrastava il muro di suono della band. Peccato per la backing band, dispiace dirlo, non all’altezza, altrimenti il ricordo di questa serata di Padova sarebbe stato non di un più che buono concerto ma un qualcosa di memorabile da raccontare ai nipoti.