La bella gente, la grande musica e l’empatia. È stato un concerto davvero coinvolgente quello di Hozier, ieri all’Alcatraz di Milano, testimonianza, sotto tutti i profili, della crescita artistica del cantautore irlandese, esploso nel 2013 con la hit mondiale “Take Me To Church”. Era solo l’inizio, perché quello che abbiamo ritrovato sul palco della venue milanese, non andata sold out, ma bella piena per l’occasione, è un artista estremamente attento, consapevole e aperto alla ricerca.
Lo dimostra il nuovo EP “Nina Cried Power”, uscito a settembre contenente quattro canzoni meravigliose, tra cui l’omonimo singolo in duetto con la regina del soul e del gospel Mavis Staples, e lo conferma “Movement”, il primo estratto dal nuovo LP, in arrivo entro la primavera. Tutto materiale scaturito da una penna formidabile e realizzato, poi, da un artista dotato di mezzi non comuni, non ultima la band di sette elementi (due tastieristi, batteria, percussioni, basso, violino, chitarre e due coriste, anche se tutta la band fa da backing vocals praticamente sempre), tutti numeri uno, con cui ieri sera ha letteralmente portato al punto di fusione la platea dell’Alcatraz.
Non c’è spazio per la freddezza nel mondo di Hozier, se non ti scalda il cuore è perché te lo sta incendiando. Ma partiamo dal principio: Suzanne Santo. Alla cantautrice di Cleveland (Ohio), al debutto con l’album “Ruby Red”, è non solo affidata l’apertura del live, di lì a poco, infatti, la ritroveremo proprio al fianco di Hozier, al violino, chitarra e cori. Insomma, quella sul palco è una famiglia, una famiglia che suona da dio e regala armonizzazioni vocali da pelle d’oca. È chiaro sin dal trittico d’apertura, che avanza già tre importanti sfaccettature della produzione di Andrew Hozier Byrne: c’è il folk di “Like Real People Do”, il soul infuocato di “Nina Cried Power”, tra i momenti più esaltanti del set, e l’anima pop di “Jackie and Wilson”.
Prende subito contatto con il suo pubblico, in visibilio già allo spegnersi delle luci in sala, saluta, ringrazia, introduce i pezzi, li spiega anche, come nel caso di “NFWMB”, dal nuovo EP, “una canzone d’amore per la fine del mondo, spero che vi piaccia”. Hozier, nonostante il successo, conserva quell’umanità che solo i grandi sanno valorizzare.
Il ritmo dello spettacolo – semplice nelle scenografie, costituite da un drappeggio alle spalle della band animato da un gioco di luci, a creare la giusta atmosfera – è perfetto. “From Eden” è un ultimo sprazzo di luce prima di addentrarci lentamente nell’oscurità con “Angel Of Small Death And The Codeine Scene”, il delta blues di “To Be Alone” e la già citata “NFWMB”, bellissima e ammaliante nella sua rarefatta versione live.
Siamo nel cuore dello show, il momento giusto per l’intimità di “Cherry Wine”, pezzo storico tratto dal primo disco e cantato solo voce e chitarra da Hozier. La parentesi folk prosegue con la nuova “Shrike”, alla cui delicatezza fanno immediatamente da contraltare le potenti chitarre electric blues di “Arsonist’s Lullaby”, ideale introduzione alla nuova “Moment’s Silence (Common Tongue).
Il pezzo è sicuramente tra i più belli del set e introduce il gran finale giocato su una sapiente alternanza di toni, che ha regolato tutto il live, ma qui i pezzi sono da novanta: “Someone New” è una festa e anticipa il momento più alto del concerto costituito da quella “Movement”, che se tanto mi dà tanto altro non è che l’anticipazione di un disco da paura. Il finale, con le voci a capella della band al completo è da brividi.
Manca solo “Take Me To Church” all’appello in questa scaletta perfetta. E arriva, esattamente lì dove deve stare, in chiusura prima dell’encore. L’effetto del pezzo è quello che ci si aspetta, un tripudio, dopo il quale Hozier e la sua band escono per un attimo, richiamati sul palco da una vera e propria ovazione. La chiusura è affidata alla cover delle Destiny’s Child “Say My Name” e alla storica “Work Song”, pezzo storico tratto dall’EP d’esordio “From Eden”, perché Hozier è uno che non dimentica da dove viene. Un grande, lo aspettiamo presto con i live a supporto del nuovo disco.
Cinzia Meroni – Foto a cura di Mairo Cinquetti