Iron Maiden, il report del concerto di Milano del 9 luglio 2018

La seconda tappa italiana del “Legacy of the Beast Tour” degli Iron Maiden è approdata ieri all’Ippodromo San Siro di Milano, ospitata all’interno dell’evento “Milano Summer Festival”. La location, piuttosto comoda essendo accanto al celebre stadio e quindi in una zona ben raggiungibile anche con i mezzi, non è stata forse all’altezza di quella fiorentina (che ospitò i Maiden un mese fa circa nel contesto del Firenze Rocks), ma non è sembrata nemmeno eccessivamente mal gestita. Un paio di zone food/drink in più e delle zone relax coperte avrebbero potuto fare la differenza. A quanto ho sentito dire, chi non è stato così fortunato da procurarsi un biglietto pit (Prato 1), ha avuto però qualche difficoltà a vedere il palco in alcune zone dell’area Prato 2.

Ma lasciamo perdere la logistica e passiamo alla musica, tanto alla fine è per quella che eravamo tutti lì. Puntuali come da scaletta i The Raven Age aprono le danze con il loro monolitico metal a cavallo fra groove e alternative. Tecnicamente tutti ben preparati, ma la proposta musicale, per chi non ha mai avuto modo di ascoltare la band in precedenza, potrebbe risultare un po’ ostica. Nelle prime file pare ci fosse chi ha apprezzato, partecipando allo show con entusiasmo.

È stato poi il turno della band di Mark Tremonti, chitarrista degli Alter Bridge qui a promuovere il quarto lavoro a proprio nome. Anche in questo caso la tecnica non manca, ed il chitarrista americano ha messo in mostra la sua bravura (e la sua sterminata collezione di chitarre), trascurando forse un po’ l’aspetto live, e risultando infine forse un pelo troppo freddo e distaccato. Terminato il set, Tremonti e soci lasciano spazio ai roadies, che iniziano ad allestire il mastodontico stage dei Maiden, che puntuali alle 20.50 fanno partire l’ormai classica “Doctor Doctor” ad indicare a tutti che lo spettacolo sta per iniziare.

Immediatamente dopo il brano è partito subito l’ormai celebre discorso di Churchill (usato come intro per il celebre “Live After Death” del 1985), lasciando che intuire che “Aces High” avrebbe aperto le danze, con tanto di aereo da guerra enorme a sorvolare il palco e i sei inglesi. La prima parte dello show è incentrata interamente su brani che trattano il tema della guerra, così la scenografia presenta teli mimetici, trincee e filo spinato. “Where Eagles Dare” ci fa capire che la setlist sarà davvero ricca di sorprese, e così sarà. Una dopo l’altra la band sciorinerà una sequela di classici incredibile, tra tutti svetta senza dubbio “Flight of Icarus”, che non veniva proposta live dal tour del 1985, con tanto di Bruce armato di lanciafiamme che corre per il palco sparando fuoco da entrambe le mani.

Oltre alla scaletta, ricca di chicche notevoli, lo spettacolo visivo è stato il punto di forza di questo “Legacy of the Beast Tour”. Sul palco infatti è apparso ogni sorta di orpello scenografico, dai classici pyro, che arrivavano sia dal basso che dall’alto, creando coreografie suggestive, ai fuochi artificiali, passando poi per i già citati lanciafiamme, spade (un duello all’arma bianca fra Bruce ed Eddie durante “The Trooper”), gabbie, il cappio del condannato a morte di “Hallowed Be Thy Name” (finalmente tornata in scaletta dopo i problemi di copyright di un paio di anni fa), la dinamite per un finale veramente col botto di “Run to the Hills”, e un sacco di altre cose. Insomma, per me è stato il dodicesimo concerto dei Maiden, e devo ammettere che, nonostante le aspettative fossero già alte, conoscendo la scaletta e avendo visto qualche foto e qualche video, quello di ieri sera è stato senza dubbio il miglior show degli Iron Maiden a cui abbia mai assistito dal punto di vista delle scenografie, e uno dei tre migliori da quello della scaletta.

Non posso concludere senza aggiungere che i sei inglesi, nonostante l’età avanzi inesorabile (e sul viso di qualcuno si nota chiaramente), sembra siano rimasti fermi agli anni ’80 in quanto a grinta ed entusiasmo. Due ore di spettacolo a livelli altissimi: Dickinson non sta fermo un istante, e le pause per riprendere fiato sono solamente quelle fra un brano e l’altro; Murray/Smith sono sempre precisissimi nell’esecuzione delle loro parti e Gers, come sempre e sempre di più, caricato a molla e impegnato a far roteare la sua chitarra nelle maniere più disparate; Harris esaltatissimo non è stato mai fermo nemmeno lui, e non ha smesso un attimo di “mitragliare” il pubblico con il suo basso e di correre avanti e indietro, incitando e cantando ogni parola di ogni canzone; e per finire, McBrain in una forma più smagliante che mai, sembrava avere quattro braccia e una doppia cassa: veloce, preciso, e con tutto il suo arsenale di passaggi intricati, suo marchio di fabbrica da sempre, a smentire chi lo vedeva affaticato ed iniziava a dire che forse per lui era vicina l’ora della pensione.

In definitiva i Maiden dal vivo sono sempre una garanzia di qualità, chi non li ha visti né a Firenze né a Milano è ancora in tempo per la data di Trieste la prossima settimana. Questo è un tour da vedere assolutamente, poi non dite di non essere stati avvisati.