Se le domeniche mattina iniziassero tutte con un appuntamento con un concerto dei Kings Of Convenience, come il 29 novembre 2015 al Teatro Ambra Jovinelli di Roma, il mondo sarebbe un posto migliore. Altro che brunch d’importazione, caffè bevuti in fretta e pranzi dalla nonna che urgono di essere consumati: il concerto del duo norvegese di Erlend Øye e Eirik Glambek Bøe prevede di svegliare i presenti con le note del loro album di debutto “Quiet Is the New Loud”, uscito nel 2001 e finalmente celebrato con due live show come uno dei dischi più importanti degli anni Duemila.
L’orario dell’appuntamento con i Kings Of Convenience è insolito per un live show: un mezzogiorno che ha costretto molti a rinunciare a qualche ora di sonno e si vede, perché la platea del teatro è affollata di occhi a mezz’asta e facce da mezzo hangover. Ma l’atmosfera è di un incontro allegro, ricco di buonumore e risate, e allora chissenefrega dei piumoni e di dormire.
L’occasione è ghiotta, perché c’è da presentare il libro-intervista nel quale il giornalista Ørjan Nillsson ha ricostruito la nascita, la composizione e le registrazioni di “Quiet Is the New Loud”. Sul palco di Roma a moderare l’incontro c’è la brava e appassionata Giulia Blasi dall’inglese impeccabile e i primi quindici minuti di intervista fanno già capire l’antifona: i Kings Of Convenience sono più rilassati che mai e si lasciano andare a battute, aneddoti, racconti. Erlend e Eirik, “i Simon & Garfunkel di Norvegia” nonostante del duo americano conoscessero a malapena le armonizzazioni vocali, sono affiatati e divertono il pubblico prima di imbracciare le chitarre e suonare il lato A del disco.
Ce ne vorrebbero di più di concerti così essenziali e puliti, credetemi. Due chitarre, due voci perfettamente in sincro, un pianofortino ridotto e tanto spirito di poetica leggerezza. Scorrono come una carezza del buongiorno “Winning a Battle, Losing the War”, “Toxic Girl”, “Singing Softly to Me”, la struggente “I Don’t Know What I Can Save You From”, “Failure” e naturalmente la bellissima “The Weight of My Words” che addolcisce di intensa malinconia l’intero pubblico prima della pausa.
Una seconda parte di intervista sempre più carica di risate, Erlend che straborda in tutta la sua elegante nerditudine, Eirik che fa il finto stupito, un mezzo accenno alla pazienza dei loro fan: “il nostro nuovo disco potrebbe uscire tra due anni, tanto i nostri fan sono pazienti… L’età media di vita è di 86 anni, quindi che fretta c’è?”
E via di nuovo a chitarre spiegate verso il lato B: impossibile non canticchiare, impossibile resistere agli schiocchi di dita e battiti di mani chiamati dai Kings Of Convenience, impossibile stare fermi in poltrona mentre le armonie si intrecciano nell’aria. Sulla standing ovation e lungo applauso finale durato più di cinque minuti, i due ragazzoni escono di nuovo per eseguire una speciale versione extra di “Misread”, forse il loro singolo più famoso: una concessione dal secondo album, dovuta, che chiude il concerto con un livello di gioia e sorrisi mai visti prima.
Un concerto -che sia dei Kings Of Convenience, ma anche di tanti altri artisti a loro simili e che ai due norvegesi devono tanto- la domenica mattina nutre spirito e corpo, alza i livelli di serotonina e predispone alla felicità leggera. Dovrebbero imporlo i medici come cura contro la depressione stagionale.