Korn, le foto e il report del concerto a Milano del 12 marzo 2017

Le foto dei Korn in concerto a Milano, all’Alcatraz, il 12 marzo 2017. La band di Bakersfield si è esibita nell’unica data italiana del tour di promozione dell’ultimo album, “The Serenity Of Suffering”, pubblicato lo scorso ottobre.

Il report del concerto

Triplo appuntamento ieri all’Alcatraz di Milano all’insegna dell’alternative metal, con tre gruppi significativi come Hellyeah, Heaven Shall Burn e Korn. Affluenza piena per il concerto sold out più rumoroso di questa coda invernale, che apre i battenti poco dopo l’orario dell’aperitivo con il supergruppo Hellyeah, un progetto che con gli anni, dopo la loro nascita nel 2007 con l’omonimo album, ha acquistato sempre più credibilità come band con un’identità propria e non solo come un unione programmata a tavolino di musicisti.

“X” dall’ultimo lavoro in studio “Unden!able” lancia sulla folla le prime note della serata con la sua potenza grezza e la voce di Chad Gray, ex Mudvayne, sempre sporca e graffiante, scalda i primi avventori del locale. Molti, come sempre, sono attirati dal gruppo per la presenza dietro le pelli del mostro sacro del metal e redivivo Vinnie Paul, al secolo ex batterista dei Pantera e fratello del guitar hero Dimebag Darrel.

Guardare quel mastodontico omone suonare con la sua bandana nera crea in noi fan del metal sentimenti contrastanti, perché racchiude in sé le vestigia e i ricordi di uno dei più bei momenti della musica di genere, quando i Pantera rappresentavano la vetta più alta tra metal pesante e successo di pubblico, con le loro folle oceaniche che pogavano e cantavano e si proponevano nei più portentosi headbanging che la musica live ricordi… ma al tempo stesso Vinnie è il totem disturbante di uno degli avvenimenti più drammatici e truculenti della storia non solo del metal, ma della musica tutta: L’uccisione del fratello Dimebag durante un concerto del loro gruppo Damage Plan nel 2004, quando un fan rancoroso per la fine dei Pantera sale sul palco e apre il fuoco uccidendo sul posto uno dei più talentuosi chitarristi esistiti.
Con tutti questi sentimenti contrastanti lì, appena dietro la superficie della percezione, accogliamo il breve set degli Hellyeah, che dopo soli sei pezzi si chiude con la cover di Phil Collins “I Don’t Care Anymore”, presente anch’essa nell’ultimo album, resa più pesante e rabbiosa rispetto all’originale.

Tempo di una birretta e lo sfondo si trasforma con la comparsa del  logo degli Heaven Shall Burn, gruppo tedesco che propone un death metal con pochissime concessioni alla melodia. Il cantato in growl di Marcus Bischoff incalza la folla con le sue tematiche sociali antirazziste e il livello di cattiveria si alza di parecchie tacche. Gli Heaven Shall Burn sono il gruppo che più stona nel trittico di questa line-up alternative metal con la sua proposta di metal duro che sfocia spesso in melodic death metal, anacronistico rispetto alla proposta di Korn e Hellyeah, che invece prediligono la melodia come contraltare alle sonorità metal. Niente cori e canti dei fan per gli Heaven Shall Burn, che però hanno richiamato su di se una folta schiera di seguaci per la loro unica data italiana. “Hunters Will Be Hounted”, “Endzeit” e “Combat” sono le punte più violente di un concerto che dopo meno di un’ora si chiude lasciando spazio agli headliner della serata, i Korn.

Jonathan Davis e compagni irrompono sul palco con un muro di suono portato dal duo di apertura super collaudato, le dirompenti “Right Now” e “Here To Stay”, due pezzi con riff magnifici che sfondano l’immobilità del pubblico, che comincia a saltare e cantare i ritornelli di pezzi che ormai vanno con il pilota automatico, e permettono ai Korn un po’ incelofanati di inizio concerto di prendersi tutto il tempo necessario per scaldarsi.
“Rotting In Vain” è la prima delle due proposte dall’ultimo album “The Serenity Of Suffering“, tornato a proporre un sound duro dopo anni di svariate sperimentazioni. Con “Insane” arriva anche la conferma live: è un album spaccaossa, e il gruppo sta vivendo una seconda giovinezza artistica.

Giovinezza che purtroppo non è seguita da giunture e gola di Jonathan Davis, che appare sempre più rigido e arrancante. La sua performance rimane eccezionale e coinvolgente, con prestazioni vocali uniche sia nel growl che nel pulito, ma si ha spesso la sensazione che alla sofferenza dell’animo che da sempre accompagna la sua arte negli anni si sia aggiunta anche quella artritica.

Il parco di hits dei Korn però è grandioso e ce lo godiamo tutto senza rischi di flessioni, perché si susseguono in rapida successione perle come “Make Me Bad” e “Somebody Someone” da “Issues”, “Freak On a Leash” da “Follow The Leader”, e si torna teenager con le anziane “Blind”, “Twist” e la perla “Good God”, quando Davis imbraccia la consueta cornamusa tra il delirio del pubblico e anticipa “Shoots And Ladders”.
L’immancabile “Coming Undone”, con il suo irresistibile incedere è incastonata tra due cover, l’ottantiale “Word Up” e “We Will Rock You” dei Queen in un mash up molto divertente. C’è spazio anche per l’adrenalinica citazione a “One” dei padri Metallica alla fine di “Shoots And Ladders”.

Jonathan elogia il pubblico italiano dicendo che è uno dei più rumorosi che abbia il piacere di vedere nel mondo tanto da non riuscire a sentire la propria voce mentre canta, chiudendo le danze dopo appena un’ora e venti minuti. È un peccato, perché il greatest hits del gruppo offre ancora moltissimi pezzi come “Got The Life” e “Did My Time” per dirne due, o “Hater”, e la cover che live funziona sempre egregiamente: “The Wall” dei Pink Floyd. Ma questi Korn pare che più di così non possano reggere. L’importante è divertirsi e, con i Korn, questa è praticamente una sicurezza.

Le foto del concerto

Fotografie a cura di Arianna Carotta