Anche se il farewell show per il pubblico europeo sarà tra più di un mese (2 agosto, Londra, nella seconda giornata del Sonisphere Festival), già ci mancano i Nine Inch Nails. La motivazione è semplice: ad oggi, la band di Trent Reznor è uno dei migliori act in ambito rock dal punto di vista musicale e, dal punto di vista visivo, merita di diritto di stare in un’ipotetica top 3. Aspetti che, però, approfondiremo più avanti in un report di una giornata ottima dal punto di vista climatico fino alle 18 (caldo ventilato), per poi diventare molto “bagnata” con i tre gruppi principali del cartellone, e altalenante da quello musicale.
Sorvolando sui Super Elastic Bubble Plastic (persi per la solita combinazione treno-hotel) e sui romani Belladonna (citiamo una voce anonima, “Imbarazzanti”), i secondi chiamati all’ultimo momento a rimpiazzare i defezionari Killswitch Engage, si comincia a fare sul serio con i Duff McKagan’s Loaded. Un set, a conti fatti, nostalgico: pochi gli estratti da “Sick” (esclusa in maniera inspiegabile “Forgive me”, uno dei pezzi più riusciti del disco) e molte cover. Tanti, e c’era da aspettarselo, brani dei Guns N Roses (“So fine” e il medley finale “Welcome to the jungle”, “Paradise city” e “It’s so easy) ma anche un lungo medley nel quale son stati coinvolti Iggy and the Stooges (“I want to be your dog”), AC/DC (“Tnt”) e Rolling Stones (“Wild horses”). Il risultato è un set che per la prima metà non è riuscito a fare presa sul pubblico, ma che con le cover è decollato lasciando soddisfatti i presenti. Duff McKagan in forma smagliante e una band di supporto ben calibrata salutano i fan dopo 45 minuti di concerto divertenti, ma con tanti punti interrogativi.. reunion?
Tanta l’attesa peri The Mars Volta, il gruppo multietnico capitanato da Cedric Bixler Zavala e Omar A. Rodriguez-Lopez, noti anche per il loro passato nei seminali At the Drive-In, soprattutto dopo la data fenomenale all’Alcatraz un paio di anni fa. Un concerto di altissimo valore tecnico, nel quale vengono riproposti brani da tutte le release, anche se “Frances the mute” è limitato ad una citazione di “Cassandra Gemini” collegata al pezzo “Drunkship of Lanterns”. Il mix di generi, che spazia da una versione sotto acidi dei Led Zeppelin, esplorando territori “inusuali” come il free jazz, passando per il progressive rock e i ritmi sudamericani, è riuscito a catalizzare i presenti, tra cui i tanti fan accorsi principalmente per loro (tante le magliette dei The Mars Volta nell’area dell’Idroscalo). Una performance penalizzata però dalle condizioni climatiche avverse: durante il loro set, infatti, la pioggia è caduta incessante, lasciando un po’ di tregua solamente nella parte iniziale e negli ultimi minuti del set (che comunque è stato concluso senza interruzioni di sorta). Da rivedere in un club, al coperto.
I Korn sono stati una delusione: rispetto ai concerti dell’inverno 2008 (e al tour solista di Jonathan Davis la scorsa estate), la band è sembrata sottotono, facendo pensare ai più maligni che questo “Escape from the studio tour” sia un’occasione per guadagnare qualche soldo da piazzare nel conto in banca. Uno show che poteva competere, sulla carta, con quello degli headliner si è rivelato, a conti fatti, un vero e proprio compitino. Nessuna sorpresa nella scaletta, poiché sono state rispettate le linee guida già intraprese in altri festival come Rock am Ring e Download: una manciata di cover (“One”, l’accenno di “We will rock you” aggianciato a “Coming undone” e la finale “Another brick in the wall”, cantata da tutti i presenti), zero sorprese, tante esclusioni (una fra tutte, “A.D.I.D.A.S.”) per un live che, dal punto di vista della scaletta, non si smuoverà mai. Oltre al danno, la beffa: durante l’intro di “Right now”, un guasto all’impianto audio costringe la band californiana a ritardare l’inizio di qualche minuto. Questo imprevisto, molto probabilmente, ha comportato il taglio dalla scaletta almeno un pezzo.
Sugli scudi il solito Jonathan Davis, anche se meno in palla rispetto alla precedente calata italiana dei Korn e al suo tour solista di giugno 2008, e ottimi i turnisti che la band si porta dietro (anche se qualche riserva sul doppiocassaro Ray Luzier la preferiamo lasciare); grossa delusione Munky e Fieldy, con il primo non particolarmente preciso e il secondo in una serata piuttosto negativa.
A raddrizzare una serata che, finora, si è dimostrata buona ma non esaltante, sono arrivati i Nine Inch Nails con uno show che è candidato ad essere tra i migliori di questo 2009. Uno spettacolo nel quale, ad affiancare il frontman Trent Reznor, troviamo una nuova formazione composta da tre musicisti: oltre allo storico Robin Finck, che già affiancò Reznor nel tour di “The downward spiral”, troviamo il giovane batterista Ilan Rubin (vent’anni e già turnista per i Lostprophets) e Justin Meldal-Johnsen nel ruolo di bassista (turnista che ha collaborato con il mondo.. maggiori dettagli su Wikipedia). Una band in palla che, anche grazie ad un lavoro sublime da parte del fonico della band, ha goduto di un impatto sonoro che raramente si può sentire in sede live.
Con una lineup di questo tipo, i Nine Inch Nails sono riusciti a coniugare l’anima più rock della band, ma anche quella più intimistica. Scelta che si rispecchia anche sulla setlist: affiancati a mazzate del calibro di “March of the pigs”, “The hand that feeds” e “Mr Selfdestruct”, troviamo brani più “melodici” come “La mer” e “Piggy”. L’ultima release “The slip” trova spazio in scaletta con tre estratti, ma vengono presentati anche brani raramente proposti dal vivo, come ad esempio “The fragile”. Anche se lo show durerà più di due ore, tante sono le esclusioni cocenti: l’attesa “The day the world went away” e brani come “Closer”, “Heresy” e “Starfuckers inc.”, canzone raramente proposta al di fuori del tour di “The fragile” e che ci si aspettava venisse suonata in occasione di questo farewell tour. La parte del leone è lasciata al capolavoro “The downward spiral”, dal quale verranno pescati otto episodi, di cui quattro proposti uno di fila all’altro nella prima metà del concerto. Uno show dal punto di vista dei brani scelti non esaltante, ma diventato ottimo grazie alla sinergia tra i componenti, l’eccellente lavoro a livello audio e di luci, sincronizzate con le parti ritmiche delle varie canzoni. Per accrescere l’impatto emotivo di questo valore aggiunto al concerto, verranno utilizzate anche delle luci strobo.
La conclusiva e toccante “Hurt”, piazzata a conclusione di un encore che sarà oggetto di discussioni da parte dei fan, chiude la prima delle ultime due date che i Nine Inch Nails faranno prima di sciogliersi: la band infatti tornerà a Roma il mese prossimo. La nostra speranza è che alla fine questa si riveli come una lunga pausa (anche se il merchandise “Wave goodbye, 1989-2009” ci fa pensare al contrario), perché di artisti come Trent Reznor ne abbiamo veramente bisogno: si potrà discutere sul valore delle ultime release, soprattutto da “Year zero” incluso in avanti, ma limitandosi alla dimensione live loro hanno pochissimi rivali. Sarà dura andare avanti senza band di questo calibro, il rock nel senso più trasversale del termine, dal prossimo anno, avrà una grossa lacuna difficile da colmare.
NIN setlist: 1000000 – Last – Terrible lie – Discipline – March of the pigs – Piggy – Reptile – The becoming – Burn – Gave up – La mer – The fragile – Non entity – Gone, still – The way out is through – Wish – Survivalism – Mr Selfdestruct – Suck – The hand that feeds – Head like a hole – Echoplex – The good soldier – Hurt
Nicola Lucchetta