Se a qualcuno che li vide a fine anni ’60 avessero detto che li avrebbe potuti vedere riempire gli stadi di tutto il mondo a fine 2006, probabilmente questo non avrebbe saputo nascondere un sorriso incredulo. Gli Stones, durante la loro quarantennale carriera, hanno rischiato più volte di morire come parecchi illustri colleghi, ma in un modo o nell’altro sono arrivati quasi tutti nel nuovo millennio. “Uno è vivo e gli altri tre sono morti”, questo l’ironico commento di un giornalista dopo la conferenza stampa di Milano. Da un certo punto di vista non è andato molto lontano dalla realtà. Keith Richards, come ormai risaputo, è reduce da un operazione al cervello che ha fatto slittare di un mese il tour europeo; Charlie Watts, dopo aver sconfitto il cancro, è quello che sembra averla pagata più di tutti; Ron Wood, forse il meno acciaccato, è appena uscito da una clinica per alcolizzati; ma poi arriva lui, Mick, asciutto, agile, indemoniato e d’un tratto capisci come fanno a girare ancora a più di sessant’anni. Solo grazie a lui. Chi lo vede non può non rendersi conto del fatto che, insieme forse solo a Freddie Mercury, sia il più grande frontman della storia del rock. Punto. Non importa se non sono solo in quattro a suonare, ma in una decina, non importa che Keith e Ron rimangano immobili per tutto il concerto, la magia degli Stones esiste ancora e soprattutto per merito di Jagger.
Lo stadio è un tripudio di bandiere tricolori, il mondiale è stato vinto da due giorni, esattamente 24 anni dopo la prima profezia del gruppo, quella dell’82. L’euforia sembra unire ancora di più pubblico e gruppo, che per tutto lo show non farà che osannare le gesta degli azzurri, accompagnato dall’arcinoto coro (Po-po-etc) diventato l’inno del mondiale (e che per la cronaca è il motivo una canzone degli White Stripes del 2003!). Addirittura Jagger intrattiene la folla raccontando aneddoti e dicendo che sia Keith che Materazzi hanno avuto gli stessi problemi di testa, battuta accolta dal pubblico e da Richards con una grande risata. La scaletta predilige la storia del gruppo, quella essenziale, tralasciando fortunatamente quasi tutto l’ultimo album, ad eccezione della fantastica “Rough Justice” e della prima mondiale di “Streets Of Love”, al posto della quale avrei preferito “Wild Horses” o “Angie”. A farci dimenticare queste mancanze arrivano però una versione fantastica di “Midnight Ramler”, il filotto iniziale “JJ Flash”-“It’s Only Rock and Roll” (anche se il fonico è sembrato essere un assoluto idiota) e la grandiosa “Con le mie lacrime” traduzione in italiano della splendida “As Tears Go By”, vera gemma per tutti i collezionisti del gruppo. Il palco, come sempre mastodontico, presentava una parte frontale meccanica, che ha permesso al gruppo di suonare cinque pezzi in mezzo al pubblico presente nel prato, per poi tornare su quello principale per il gran finale, iniziato con “Sympathy For The Devil” e conclusosi, chiaramente, con “Satisfaction”, pezzo simbolo di ormai tre generazioni, passando per la tiratissima “Brown Sugar”. Chiusura con Materazzi e Del Piero chiamati dal gruppo sul palco a festeggiare. Certamente i fan francesi di Jagger e soci non avranno apprezzato a pieno gli sfottò del giocatore dell’Inter, ma saranno certamente capaci di mettervi una pietra sopra…
Setlist: Jumping Jack Flash, It’s Only Rock and Roll, Oh No Not You Again, Let’s Spend the Night Together, Tumblin’ Dice, Streets of Love, As Tears Go By, Midnight Rambler, Night Time is the Right Time, Before They Make Me Run, Slipping Away, Miss You, Rough Justice, Under My Thumb, Honky Tonk Woman, Sympathy for the Devil, Start Me Up, Brown Sugar, Can’t Always Get What You Want, Satisfaction.
L.G.