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Interviste

Emis Killa e Jake La Furia per la prima volta insieme per 17, un album di inediti che svonvolgerà il modo di intendere il rap

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“17” è sicuramente l’album più atteso e carico di hype di questo 2020. Un album di inediti carico di scuola e innovazione che arriva non tanto come una ventata di freschezza, ma piuttosto come l’onda d’urto di una bomba che il fiato te lo toglie.

Jake La Furia rappresenta il pilastro della vecchia guardia che ha portato il rap nel paese delle canzoni d’amore e del cantautorato intellettuale. Emis Killa è il re indiscusso dell’urban music di seconda generazione, vincitore di praticamente ogni competizione a cui abbia parteciapto.

Il tempo è arrivato e oggi, 18 settambre 2020, esce “17” per Sony Music, anticipato dal singolo “Malandrino”, che racconta la sensazione di ribellione vissuta durante l’adolescenza dei due artisti, quando la fame per il successo si scontrava con la difficile vita di strada.

Oggi, Emis e Jake possono guardare al passato con la soddisfazione di chi ce l’ha fatta, nonostante tutte le difficoltà e gli ostacoli.

Ho ascoltato il vostro album tutto d’un fiato ed è una bomba, sono rimasto a bocca aperta a partire dal primo brano. Siete tornati con intenzioni davvero cattive, mi sembra di capire.

Jake. Le intenzioni sono quelle di un disco rap come si faceva una volta, un disco proprio rap, quindi anche nelle intenzioni. Si rappa, si rappa pesante.

 

17 si apre con Broken Language, smaccatamente rap, e si chiude con Quello che non ho, più emotivamente trap. E in mezzo ci sono altri 15 capolavori. Com’è nata l’idea? 17 brani di questo livello non nascono da un’improvvisazione.

Emis. Era nell’aria da tempo, ma avendo entrambi una carriera solista c’era sempre qualcosa di mezzo. Alla fine i pianeti si sono allineati, abbiamo trovato quest’annata libera in cui nè io nè lui avevamo da fare e siamo riusciti a far uscire questo disco.

 

Chi vi conosce e vi segue non rimarrà deluso dai testi e dal fraseggio di alcuni brani, il vostro nome è garanzia di qualità. La vera sorpresa è nella parte musicale, forse mai così curata e ricercata nelle vostre produzione precedenti.

Emis. Doveva essere per forza diverso perché doveva essere qualcosa che la gente non si aspettava.

Jake. Per la parte musicale sicuramente dobbiamo girare i complimenti ai produttori, nel senso che spesso e volentieri a noi la musica arriva così e il nostro unico merito in questa cosa è stato scegliere le giuste strumentali.

 

Che non è poco comunque.

Jake. No certo! Facciamo questo lavoro da tanti anni, e abbiamo sviluppato un gusto che ci fa capire quali sono le cose belle.

Emis. Poi ti dico la verità: avendo fatto un disco del genere non avevamo l’imbarazzo di dover scegliere la strumentale funzionale, dovevamo solo scegliere la strumentale più bella, punto e basta.

 

Siete stati coraggiosi a far uscire un album dalle aspettative così grandi in un anno così devastante per la musica.

Jake. Beh, non abbiamo avuto molto coraggio, ci siamo trovati un palo nel culo! (ride)

Abbiamo iniziato a scrivere e registrare che il coronavirus non esisteva, il disco era pronto per uscire ad Aprile. Ovviamente poi ci siamo ritrovati in questo casino che ha sconvolto il mondo. Emis. Abbiamo anche rinviato l’album, il problema è che non si poteva continuare a rinviare per sempre.

Jake. Esattamente come dobbiamo convivere col virus anche la musica dovrà convivere col virus. Il disco era caldo e doveva uscire, punto.

 

Auguriamoci tutti che essendo un album importante faccia girare un po’ le cose, sia per voi che chi per lavora con voi.

Jake. Ah, per noi di sicuro, speriamo! (ride) Il problema grosso di chi lavora con la musica è che la musica genera la gran parte dell’economia grazie all’attività live. Ora purtroppo siamo in mano ai numeri, al timore di una cosa che non conosciamo per cui boh, è un’incognita totale. Emis. Ci auguriamo innanzitutto che il disco sia bello e piaccia, e che la situazione migliori in modo tale che non dico subito, ma entro la primavera del 2021, si possa andare a suonare in un modo dignitoso.

 

Io me lo sto aspettando il vostro tour, non vedo l’ora.

Jake. Eh, anche noi (ride).

 

Ok, adesso faccio due domande serie: siete amici da tanto tempo e vi portate all’incirca una decade sia come inizio di attività produttiva come artisti che come età. Siete due mondi e due generazioni di genere urban diveri a confronto. In cosa vi siete sincronizzati immediatamente e in  cosa, invece, avete notato di più le vostre diversità?

Emis. Sicuramente ci siamo trovati da subito per quanto riguarda le tematiche, non abbiamo mai dovuto dire “no, questa cosa non va detta”. Le tematiche caratterizzano il passato e la vita di entrambi. Forse le uniche cose in cui non ci siamo “scontrati” – non che abbiamo avuto diverbi, ma qualche volta ci siamo trovati non all’incastro immediatamente – sono state alcune sonorità. Essendo più giovane io avevo un po’ la tendenza a scegliere delle basi che magari fossero un po’ troppo trap, passami il termine. Qualcosa ci stava, e infatti ci sono delle basi trap nel disco ma ci abbiamo rappato di brutto. Altre non c’entravano un cazzo, effettivamente.

Jake. Però meno male che è stato così: se uno non avesse cercato di far valere le sue cose sull’altro, in entrambi i sensi, il disco sarebbe stato un po’ troppo retro-rap o troppo trap. Così siamo riusciti a fare un disco che suona molto rap, ma molto moderno. Forse questa cosa è figlia del fatto che uno magari preferisce alcune cose e l’altro ne preferisce altre, e il compromesso ha portato a una sonorità, secondo me, molto potente, nel senso che è roba che non si sentiva da un po’, ma con delle sonorità che sono assolutamente super attuali.

 

La mia prima descrizione al primo ascolto è stata “di un disco in stile americano, ma con un tocco del tutto nuova originale”.

Jake. Infatti è proprio così! Mi sembra una bellissima descrizione, questa. Guarda, se fosse così anche per gli altri io sarei già contento.

Emis. Come diceva Jake, in questo caso dobbiamo spezzare una lancia in favore dei produttori perché è anche merito loro se il disco è riuscito in questo modo, anche con i suoni che vanno dall’altra parte dell’oceano.

 

L’altra domanda seria è più una mia opinione: mi sembra che negli ultimi anni in cui il rap ha raggiunto finalmente una ribalta così ampia, il genere urban abbia giovato di una diversificazione in tantissimi sottogeneri che in altre epoche era stata esclusiva della musica rock, che in vari decenni, è stato declinato in mille modi diversi, mentre il rap rimaneva (soprattutto qui da noi) una specie di base semplice e sempre uguale a se stessa.

Jake. Questa è una cosa che dico sempre nelle interviste, e te lo dico volentieri, anche se qui bisogna stare attenti a quello che si dice: che il rap abbia preso il posto del rock non lo so, perché il rock è vivo e vegeto. Il rap ha preso il posto del pop, questa è la verità. Dopo di che quello che dici tu è verissimo ed è una manna dal cielo: è il vero fenomeno che succede quando un genere musicale diventa di tutti; escono vari sottogeneri che accontentano quelli che non hanno voglia di inquadrarsi dentro il rap politico, il rap autoreferenziale, il rap d’amore. C’è un filone per ogni cosa, e questo alla fine crea un suono più ascoltabile da tutti che fa bene alla musica in generale.

Doveva succedere, è arrivato il rap anche qui in Italia. I produttori si mischiano ma sono sempre gli stessi, quindi era logico che alla fine il rap diventasse una musica ascoltabile da tutti.

 

Mi sono lasciato la domanda spigolosa per ultima: senza anticipare molto diciamo che con i testi ci siete andati giù pesanti, in alcuni siete stati molto personali e sentimentali, in altri invece non avete certo lesinato in durezza e contenuti spigolosi. In questo periodo in cui tutto va sotto la ghigliottina del politicamente corretto non avete paura di ciò che vi aspetta?

Emis. Io assolutamente no, ti dico solo che in alcuni pezzi Jake mi ha censurato! (ride) Ma non ti dico dove! Io proprio no, ma in realtà credo neanche Jake. Credo sia anche un fattore anagrafico, per cui magari alcune cose che dico io a lui magari non tornano. Poi lo sapete tutti, io anche sui social non è che abbia tanti peli sulla lingua, e nel rap è ancora peggio. Se mi sento di dire una roba la dico. Quando un personaggio è molto esposto tutto finisce sotto la lente d’ingrandimento, ma ci sono molti gruppi del rap meno esposti di noi che dicono e fanno anche di peggio a cui non rompono le palle così. Non è che devo stare a giustificarmi: noi siamo sempre stati così, e non è che siccome c’è più gente che ci ascolta dobbiamo cambiare cosa diciamo, è da sempre che diciamo cose sgradevoli al microfono.

 

Esatto, la coerenza prima di tutto.

Jake. Si poi guarda, dico una cosa da parte di tutti e due: questa roba del politicamente corretto spesso e volentieri è una trappola e ci spaventa abbastanza. Non poter dire più niente perché poi rischi di cadere nel politicamente scorretto è una cosa a cui sinceramente io non credo di volermi piegare e neanche Emis, noi diciamo quel che cazzo ci pare.

Diciamo che cerchiamo di rientrare nell’intellettualmente corretto, di non dire minchiate: per il resto parliamo come parlano i ragazzi che ci stanno vicino, chi ci ascolta, la nostra generazione. Parliamo come parlano tutti, per cui tutto il resto direi che è ipocrita.

 

Il filo fra politicamente corretto e censura è molto sottile.

Jake. Si, questo è quello che sta un po’ succedendo. Credo sia anche una colpa dei social, bisognerebbe spegnere un attimo i social e iniziare a parlare terra terra, senza stare li sempre a pensare che non puoi dire niente sennò offendi qualcuno.

 

Non vi resta che ascoltarlo e raccontarci la vostra opinione sui social. Ma sappiamo già che vi piaccia o meno di sicuro non vi lascerà indifferenti.

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