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Obscura – A Valediction

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La notizia sarebbe stata se gli Obscura, una delle migliori death metal band degli ultimi 15 anni, avessero confezionato un album al di sotto delle aspettative.

Steffen Kummerer in questi anni ci ha abituato bene. Ma a questo giro, con “A Valediction“, il Nostro ha deciso di strafare. Non solo riporta in formazione due assoluti fuoriclasse come Christian Münzner e Jeroen Paul Thesseling, ma riesce anche a confezionare l’album più “accessibile” possibile ai profani che ancora non fossero a conoscenza del Verbo della band tedesca.

Il sound è decisamente made in Sweden, grazie alla produzione di Fredrik Nordström, una scelta fatta con l’obiettivo* di allargare la platea di ascoltatori rilanciando 3/4 di line-up che incisero i formidabili “Cosmogenesis” e “Omnivium“. Non è un caso infatti che, nella tracklist ritrovi spazio un brano interamente strumentale. Un segnale che, per gli appassionati che ben si ricordano “A Trascendental Serenade” e, appunto, “Orbital Elements”, è una dichiarazione d’intenti inequivocabile.

L’assalto sonoro, compositivo ed esecutivo raggiunge in “A Valediction” nuove vette, rendendo ogni singolo brano degno di attenzione. Il cantato di Kummerer negli anni ha abbandonato i registri ultra bassi (anche se ascoltando “Devoured Usurper” potreste non essere d’accordo con me) per diversificarsi e andando talvolta a lambire i confini del black metal nelle parti più furibonde.

L’opener “Forsaken” è uno dei pezzi più belli mai scritti dagli Obscura: i rimandi a “Septuagint” sono ovvi, così come è ovvia la volontà sia di ricalcare i fasti degli esordi, mediandoli con l’esigenza più attuale (la doppietta “Solaris”/Titletrack sono la “Incarnated” di una volta riletta oggi), sia di proseguire nell’evoluzione aumentando ancora di più l’afflato progressive che ammanta le composizioni.

La palla finisce fuori dal canestro solamente nella ruffianissima “When Stars Collide”, un brano “omaggio” ad At The Gates e in generale allo swedish death e al metal classico, grazie al ritornello pulito di Björn ‘Speed’ Strid. Ideale per l’obiettivo* di cui sopra, meno per impressionare i vecchi fan.

Per il resto, assurdo a dirsi vista la qualità delle composizioni della prima parte di disco, il “meglio” – provare per credere – arriva negli ultimi 4 pezzi del lavoro, sostanzialmente dalla già citata “Orbital Elements II” fino alla conclusiva “Heritage”. “A Valediction” è quindi imperdibile per gli appassionati di death tecnico e amanti di virtuosismi in generale.

Chi apprezza gli assalti all’arma bianca senza variazioni sul tema si rivolga altrove; chi invece si sente orfano (da 20 anni oramai, sic) della parola di Evil Chuck, troverà nuovamente una motivazione per godersi uno degli album dell’anno in campo extreme metal.

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