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Interviste

Moltheni presenta Ieri e il nuovo album Senza eredità: l’intervista

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Moltheni è tornato sulle scene con Ieri, il nuovo brano pubblicato il 6 novembre, e un nuovo disco in arrivo: Senza eredità. Moltheni, all’anagrafe Umberto Maria Giardini, ha realizzato anche un videoclip per il nuovo singolo, in uscita a breve per La Tempesta Dischi.

Considerato uno dei padri fondatori della scena alternativa italiana degli ultimi 20 anni, Moltheni è riuscito ad allargare i suoi orizzonti musicali in tutti i suoi anni di attività, accumulando esperienza e imparando a fondere rock, pop, alternative e sperimentazione: Ieri è una visione fatta di pop e chitarre, rock e profondità espressiva.

Prima di tutto:  cosa ti ha spinto a pubblicare musica in questo momento? E’ stata la pandemia, la congiunzione astrale o avevi semplicemente bisogno di buttare fuori qualcosa a livello psicologico?
Nessuna delle due. Ho iniziato a lavorare a questo progetto durante le vacanze al mare del 2019, ma la ricerca era nata alla fine del 2018. C’è stata solo la consapevolezza da parte di molti fan, di registrare se non altro una parte di ciò che nel tempo era rimasto fuori dagli album, i cosiddetti brani dimenticati ed esclusi. Tutto qua. La pandemia (non era ancora successo nulla), la congiunzione astrale e il bisogno psicologico di buttare fuori qualcosa non mi hanno lontanamente sfiorato.

So che hai alcune date già in programma per dicembre, ma l’impressione è che viviamo di incertezze: il settore dello spettacolo naviga a vista, quando riesce almeno a navigare. Come vivi con questa incertezza costante addosso?
Le date di presentazione del nuovo e definitivo lavoro previste per Dicembre sono state annullate. Io personalmente non vivendo di musica non ho nessun tipo di insofferenza, quindi addosso non ho ansie di nessun tipo. Sono una persona da sempre molto pragmatica e di conseguenza vivo con lo sguardo attento su un orizzonte incerto e difficile da mettere a fuoco, soprattutto a breve termine. Come chiunque di noi, anch’io non so quello che accadrà. Il mio dispiacere è esattamente identico a quello che vivono tutti coloro che lavorano nell’ambito della musica, e come coloro che ne sentono il bisogno concreto per vivere meglio o per semplice passione.

Restiamo sul tema: la manifestazione del settore, con I 500 bauli in piazza Duomo, ha messo in luce il fatto che lo spettacolo, in Italia, è un settore spesso lasciato a sé stesso. Mi spiego: durante la pandemia tutti hanno (e abbiamo) usufruito in modo massiccio dell’opera degli artisti, ma quando si tratta di capire che è un lavoro a tutti gli effetti la maggior parte delle persone fa fatica. Come vedi la situazione?
Innanzitutto quando si parla di lavoro accoppiato alla musica si fa finta di dimenticare alcuni punti determinanti: questo disastro ha colpito un sistema già malato, che andava corretto, non solo da un punto di vista politico e quindi di diritti sacrosanti nei confronti di chi fa arte. Bisogna fare attenzione quindi a non sorvolare ne dimenticare (lo stanno facendo un po’ tutti) chi con la musica guadagnava cifre assurde, spesso fuori luogo e alla facciazza del resto della carovana che muta arrancava. In questi mesi in rete ho visto occasioni di denuncia e falsa solidarietà manifestata da “artisti” che da furbi hanno cavalcato fino a ieri l’onda del benessere, e che ora piangono per la crisi e per la mancanza dei live. Oltre che a tantissimi musicisti bisogna pensare anche agli addetti ai lavori, ai promoter, a tutti coloro che hanno sempre fatto in modo che la musica si potesse concretizzare, a tutti coloro che hanno investito nei club e che ora sono a terra e guarda caso dimenticati, poiché “l’artista” viene sempre prima. L’ipocrisia è sempre stata matrigna della nostra cultura, oggi è diventata sorella.
Dov’erano fino all’anno scorso tutti quegli “artisti” che incassavano anche 80.000 euro a data, che oggi ipocriti non si fanno vedere?
Perché nessuno parla mai degli incassi sproporzionati dei giudici dei tanto amati Talent show, addirittura supportati dalle banche?
Come mai abbiamo permesso tutto questo sfruttamento del sistema spettacolo, e ora con il pretesto dello stop forzato del disastro Covid diventiamo improvvisamente tutti paladini del giusto? Come è stato possibile tutto quello spreco di denaro diffuso?
Queste domande bisognerebbe farle agli “artisti”, ma a quelli milionari, (i nomi li conosciamo a memoria tutti) che grazie ai promoter e agli addetti ai lavori hanno guadagnato vagonate di soldi. I 500 bauli in piazza hanno dimostrato che la gente che lavora nel settore è davvero stanca ma attenzione: non bisogna commettere l’errore di giustificare chi fa finta di supportare queste manifestazioni di legittima e giusta protesta. Dietro ogni legittimazione c’è sempre chi ne approfitta.

Visto che ci siamo: puoi dirci qualcosa anche sul disco, Senza eredità, o è ancora tutto top secret? E quando dici “Senza eredità” di quale eredità parli, di preciso?
Assolutamente si: “Senza eredità” è un disco di canzoni, stop. L’umore che si trasmette e si assapora all’interno del lavoro è vario, per il semplice fatto che sono stati selezionati brani molto diversi tra di loro. Si respira un aria squisitamente pop, fatta di chitarre che suonano e arpeggiano una luminosità raggiante.
C’è spazio per qualche episodio rock, ma anche per quel cantautorato depresso che negli anni ‘90 emozionò tanti appassionati di De Andrè, Battisti, Endrigo.
Moltheni rappresentò molto non solo per la musica in se, ma anche per i significati che i testi regalavano all’ascoltatore. Trame e ragionamenti da tradurre e depressioni dal sapore popolare. Dubbi e certezze, gioie e dolori di chiunque. Il titolo non è casuale, è riferito alla mia eredità artistica che va persa, ma senza fraintendimenti, nel senso che assieme al mondo che cambia cambia anche la musica, e il passato resta passato.

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