E’ difficile dire se nel lavoro a sei mani dei tre cantautori vi sia un vero “padrone della festa”: Fabi, Gazzè e Silvestri hanno infatti realizzato un disco che suona incredibilmente organico nella sua frammentarietà.
Al primo ascolto si ha a che fare con un album da salotto fatto di riflessioni in musica, di quelli da ascoltare a volume contenuto, magari davanti al fuoco in un serale attimo di relax. Un insieme di frammenti di vita, cantati e raccontati da tre cantastorie diversi che personalizzano ciascuno a modo suo i brani che via via vanno a interpretare, a volte come solisti, a volte come coristi, a volte in un’amalgama perfetta di tre voci così diverse ma così complementari. Ma dietro alla prima apparente suddivisione di poetica e stili vi è una prodonda coesione che si rivela nell’affrontare tematiche né banali né altisonanti con un linguaggio proprio e caratterizzante, mai povero; il progetto è solido e ben sviluppato lasciando che ciascun artista usi le propre doti peculiari risuonando filosofico, intimista e latino ma accendendosi anche di lampi pop nel senso più stretto, cioè popolare. Come un disco composto in un’osteria, o in un giardino sotto un albero seduti su di un sasso, il frutto del confronto fra tre amici che si confessano fra loro.
Così alla fine il disco tocca nel profondo e lascia un sapore diverso di ascolto in ascolto: dolce e amaro si mescolano come l’impegno e la spensieratezza che scorrono nelle dodici tracce che lo compongono. Un bell’album che godrà di notorietà grazie alle canzoni dall’appeal più radiofonico, ma che va ascoltato per intero.