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The Heavy Countdown #134: Ghøstkid, Intervals, Sólstafir

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Ghøstkid – Ghøstkid
Coordinate: Germania, qualche grado più tamarro dei conterranei Annisokay, qualcosina in meno dei We Butter the Bread with Butter, ma con meno nonsense degli Eskimo Callboy. Nessuna di queste band è citata a caso essendo Ghøstkid tedesco, tantopiù gli EC, perché Sebastien ‘Sushi’ Biesler militava fino all’anno scorso nella formazione teutonica in qualità di unclean vocalist. Il debutto da solista di Ghøstkid, pur muovendosi all’interno dei rigidi schemi del metalcore moderno, sorprende per l’energia di questo ragazzo che a volte chiama in causa gli Architects (“Sharks”) e i prezzemolini Bring Me the Horizon (“Start a Fight” e “You and I”), sfoggiando come se non bastasse una serie di ospitate, tra le quali spicca Mille Petrozza in “Crown”, che morde ancora più dei denti aguzzi in copertina.

HEALTH – DISCO4 :: PART I
Avevamo già incrociato lungo il nostro percorso gli Health (un anno e mezzo fa per l’esattezza) e grazie al loro sforzo precedente abbiamo avuto modo di capire la loro maniera del tutto inaspettata di essere heavy pur non suonando metal. Oggi ritroviamo il trio noise losangelino alle prese con un’opera collaborativa, in cui appaiono artisti diversi per ogni pezzo in tracklist, uno più interessante dell’altro, e diametralmente opposti sia tra loro che agli Health stessi (prendete solo Ghostemane in “Judgement Night” e i Full of Hell con “Full of Health”). Un tripudio di distorsioni in tutti i sensi possibili e immaginabili, in cui la dark wave riesce a vincere a mani basse sugli altri sound proposti.

Emma Ruth Rundle & Thou – May Our Chambers Be Full
Quando gli opposti si attraggono spesso si creano sodalizi che durano vite intere. Emma Ruth Rundle, la tanto osannata nuova promessa del post-rock/dark folk, unisce le forze con un nome che ha bisogno di ben poche presentazioni per chi è familiare con il black metal paludoso dei Thou. Un equilibrio intrigante che raggiunge il suo apice in “The Valley”, un disco che svela il suo fascino di luci e ombre sempre più ad ogni ascolto, accompagnandoci in un viaggio attraverso territori talvolta eterei, talvolta grevi di fango e oscurità, in cui niente è ciò che sembra.

Intervals – Circadian
In queste giornate di nebbia un raggio di luce, se non altro metaforico, ce lo porta Aaron Marshall con il suo “Circadian”. Di fatti, esiste poco altro che, almeno musicalmente parlando, riesca a rimetterti al mondo come lo spontaneo buonumore del progcore strumentale suonato dal chitarrista, esperto (vedi anche Plini, Polyphia e Chon) nel dipingere istantanee di puro ottimismo (“Signal Hill”), ravvivate da modernità electro pop/jazz (“D.O.S.E.”). Se il maggior peccato di Intervals è la ripetitività, lasciatelo pure perseverare nell’errore.

Sólstafir – Endless Twilight Of Codependent Love
I “raggi crepuscolari” tornano a colpire con il tiepido languore della loro poesia. Per chi non masticasse l’islandese, mi sto riferendo ai Sólstafir. Nel corso della loro attività, la formazione nordica ha imparato a padroneggiare l’arte del mutare forma a ogni release, rimanendo al contempo fedeli al proprio spirito primevo. Riduttivo quindi ingabbiarli nel post-metal (una definizione che vuol dire tutto e niente), perché i Nostri amano sfondare a martellate le mura del già sentito per intrufolarsi nel black metal, o nello shoegaze, o ancora nel folk, nel rock, e nelle melodie al limite del “pop”. Un’idea di quanto appena esposto potrebbe darcela “Her Fall from Grace”, la triste epopea di un’antieroina, e l’unico pezzo di “Endless Twilight Of Codependent Love” interamente in inglese.

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