È impossibile inquadrare la discografia di Ihsahn limitandosi a inserirla in una singola casella o ad ascriverla a un unico genere musicale. Utilizzando le parole dello stesso artista norvegese, l’ispirazione può venire da tutto, poco importa che sia art rock, jazz d’avanguardia, elettronica sperimentale o dark ambient. E “Ámr”, il settimo disco solista per l’ex Emperor, non fa di certo eccezione.
Rispetto al precedente “Arktis”, la nuova opera di Ihsahn è però meno variegata e più incline al black metal. Basta ascoltare anche solo l’incipit di “Arcana Imperii” per rendersene facilmente conto, con i suoi riff e ritmi ipnotici (complice anche l’ottimo lavoro del batterista e “partner in crime” Tobias Ørnes Andersen, che brilla in particolar modo nella conclusiva “Wake”) e quei vocals velenosi ed abrasivi da sempre marchio di fabbrica del cantante e polistrumentista norreno. Ma il bello di “Ámr” (anche se in realtà non è una novità nella discografia del Nostro), è la dicotomia tra bene e male/melodia e violenza che regge non solo l’economia del disco intero, ma che convive anche all’interno di singoli episodi (“In Rites of Passage”, tanto per citarne uno).
Man mano che si prosegue nell’ascolto del nuovo album di Ihsahn, un’altra caratteristica salta subito alle orecchie. Mi riferisco a quei synth, che starebbero benissimo nella soundtrack di qualche film di John Carpenter (“Lend Me the Eyes of the Millennia”, e non solo) e a una inclinazione molto sfiziosa verso territori progressive (“Where You Are Lost and I Belong”), la cui fascinazione era già intuibile fin dai tempi di “Arktis”.
Insomma, anche con questo ultimo lavoro in studio Vegard Sverre Tveitan dimostra cosa significa sperimentare con eleganza e tecnica. “Ámr” non sarà di certo un disco per le masse, ma per chi riesce a decifrarne la bellezza intrinseca ascolto dopo ascolto, sarà una fonte inesauribile di piacere.