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The Heavy Countdown #121: Kardashev, Paradise Lost, Asking Alexandria

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Kardashev – The Baring of Shadows
Rispetto al primo full-length “Peripety” (2015), come già evidente in “The Almanac” (2017), la naturale evoluzione del sound dei Kardashev li ha portati oggi a quello che in molti amano definire “deathgaze”, un’etichetta che condivido appieno e non esito ad appiccicare immediatamente all’ultimo EP della band dell’Arizona. Nonostante questi cambiamenti (e una costante ed eccezionale crescita del vocalist Mark Garrett), i soundscape che i Kardashev sono in grado di plasmare non hanno eguali. Prendete per esempio “A Frame. A Light”, un volo (per citare un’immagine cara ai Nostri, che spesso hanno utilizzato in passato nei propri video promozionali) su diversi scenari, che potrebbero rappresentare simbolicamente le componenti della proposta di questa innovativa formazione (l’asprezza delle cime innevate, il gelo dei laghi d’inverno, ma anche la tiepida quiete del mare e il dolce pendio delle colline di primavera).

Paradise Lost – Obsidian
Di certo dopo mille dischi (scherzo, sono “solo” 16), la credibilità ai Paradise Lost non manca proprio. E infatti Greg Mackintosh e compagni danno alle stampe un altro lavoro degno di nota. Dopo la parentesi pesantemente death/doom del precedente “Medusa” (che si ritrova in parte in brani come “Fall From Grace”), “Obsidian” si rifà a certe atmosfere dark e goth rock vintage (vedi “Ghosts” e “Hope Dies Young”) peraltro già esplorate qualche anno fa dallo storico combo, ma rispolverate in un full-length che fila decisamente più liscio e “orecchiabile” rispetto al comunque ottimo album del 2017.

Asking Alexandria – Like a House On Fire
Gli Asking Alexandria o li ami o li odi. Diciamo che, se già agli esordi vi stavano poco simpatici, con “Like a House On Fire” non si guadagneranno i vostri favori, e che se invece il metalcore cafone degli inizi era la vostra passione, l’ultima fatica dei Nostri sarà una grandissima delusione. Dopo la parentesi poco felice e coerente con Denis Stoff e il rientro frettoloso di Danny Worsnop in line-up, che ha originato il confusionario self-titled del 2018, gli AA finalmente si prendono il loro tempo, e soprattutto il coraggio di fare quello che vogliono, ovvero un pop rock/biebercore non innovativo ma sicuramente in linea con il percorso artistico della band e con l’evoluzione della voce di Worsnop, sempre più ruvida e vissuta (ascoltate “House On Fire” e “Down To Hell”).

The Hirsch Effekt – Kollaps
In tre anni, i tedeschi The Hirsch Effekt non hanno messo da parte la loro follia, anzi. Il trio, al quinto disco in studio e nostra vecchia conoscenza, ha tirato fuori dal cilindro “Kollaps”, seguito ideale del precedente “Eskapist”. Come sempre, una delle caratteristiche migliori dei teutonici è che dal mix letale di mathcore, noise, garage, progressive, jazz, black metal e chi più ne ha più ne metta, si riesce sempre a cogliere un senso globale, dato dalla tendenza a imbroccare la linea melodica giusta in ben più di un caso (“Noja” e “Domstol”). Ascoltare per credere.

Green Carnation – Leaves of Yesteryear
Un lunghissimo iato di 14 anni non ha fatto passare ai Green Carnation la voglia di fare musica. E infatti la formazione norvegese torna a far sentire di prepotenza la propria voce con “Leaves of Yesteryear”, un’opera che ha il solo difetto, soprattutto per i fan di vecchia data, di non offrire abbastanza materiale inedito (la conclusiva “Solitude” è una cover dei Black Sabbath e “My Dark Reflections of Life and Death” è una versione re-immaginata di un vecchio pezzo). Ma basta una “Sentinels” per tuffarsi nelle atmosfere prog metal ed heavy classiche dei GC, con qualche spruzzata di blast beat che giustifica l’appartenenza del combo alla scuderia Season of Mist.

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