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The Heavy Countdown top 20, i migliori dischi del 2020

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Il 2020 è stato un anno complicato. Un’affermazione che oggi risulta ovvia come l’invenzione dell’acqua calda, e vuota come l’incolmabile voragine che questo stramaledetto virus ci ha scavato dentro, a livello personale, professionale, globale. I concerti si sono fermati da mesi, e nonostante molte band continuino a rimandare l’uscita delle proprie creature in attesa di tempi migliori (e di conseguenza, di relativi tour promozionali), molti altri artisti, dopo lo shock inziale che ci ha inevitabilmente colpiti tutti, hanno deciso di pubblicare lo stesso i loro album, e anzi, magari anche di dare alle stampe più materiale del previsto. La musica quindi grazie a dio non si è fermata, soprattutto quella musica che chi segue la Heavy Countdown dagli inizi ha imparato ad apprezzare nel corso degli anni. Perciò anche per questo nefasto 2020, ecco i venti dischi che hanno lasciato una traccia dalla loro pubblicazione ad oggi (in rigoroso ordine alfabetico), un compendio per chi continua a non accontentarsi dei soliti ascolti. Ecco il meglio della Heavy Countdown.

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Alpha Wolf – A Quiet Place To Die
Esistono pochi cantori del malessere generalizzato bravi come gli Alpha Wolf. Seppur almeno all’apparenza sembrasse che i lupi australiani avessero deciso di aggiungere un po’ di colore alla propria proposta, “A Quiet Place To Die” arriva dritta in faccia come la più meravigliosa delle smentite in salsa (nu)metalcore.

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August Burns Red – Guardians
Nomen omen. Gli August Burns Red sono i veri guardiani del metalcore contemporaneo, le colonne portanti di un filone in cui la tecnica e il guitar work sono tutto. Come se non bastasse, “Guardians” è pure uno dei migliori dischi che i Nostri abbiano mai sfornato, con pezzi realmente catchy, in perfetto equilibrio tra aggressione e melodia.

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Bleed from Within – Fracture
Se realizzare buoni lavori è ormai alla portata di chiunque (o quasi), dare alle stampe qualcosa di memorabile non è da tutti. Il nuovo arrivato in casa Bleed From Within dà nuovo lustro alla formazione di Glasgow. Niente di nuovo sotto il sole (e le influenze dei While She Sleeps di “Brainwashed” sono più che evidenti), ma qui i pezzi ci sono, eccome.

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Boston Manor – Glue
Dischi come “Glue” non escono tutti i giorni. E neanche tutti gli anni. Questi ragazzotti inglesi si sono fatti largo sgomitando nel mare magnum del pop punk, per poi approdare ai cupi (e meravigliosi) lidi alternativi di “Welcome To the Neighbourhood”. La prova di maturità e di forza degli ultimi Boston Manor risiede in un album che pur non abbandonando le spigolosità del passato, strizza l’occhio a certe sonorità brit rock e pop.

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Bury Tomorrow – Cannibal
I fratelli Winter-Bates tornano a fare la gioia degli amanti del sound metalcore bombastico grazie a “Cannibal”, un ritorno sulla retta via dopo qualche uscita non del tutto convincente. Luci e ombre si rincorrono per l’intera durata di questo album e soprattutto refrain terribilmente accattivanti.

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Code Orange – Underneath
L’esposizione mediatica a cui i Code Orange sono stati sottoposti da “Forever” in avanti avrebbe potuto bruciarli in un batter d’occhio, invece la giovane band ha mostrato tutta la sua tempra in “Underneath”, consacrandola tra le promesse (mantenute) del nuovo alternative metal.

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Dance Gavin Dance – Afterburner
Una garanzia. I Dance Gavin Dance nel corso del tempo si sono guadagnati ben di più dell’etichetta swancore, portando con sé ad ogni release una ventata di spensieratezza e aria fresca, condita a una tecnica e un talento fuori dal comune. E “Prisoner” è una delle canzoni dell’anno, non ci sono storie.

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Elder – Omens
In un anno in cui non sono mancate le uscite progressive ma non tutte sono state purtroppo all’altezza dell’hype che si trascinavano dietro, la nuova release degli Elder non solo ha soddisfatto le aspettative, ma le ha anche superate. La proposta prog doom stoner dei Nostri si fa accessibile, senza banalizzarsi. Avercene.

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Fontaines D.C. – A Hero’s Death
I Fontaines D.C. sono sulla bocca di tutti e in qualsiasi classifica di fine anno. Noi li avevamo già scoperti l’anno scorso con “Dogrel”, ma c’è da dire che quest’anno le inquietudini alternative/post punk di questo gruppo di giovani irlandesi sono diventate un po’ le stesse di tutti noi. Oppure è il contrario?

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Good Tiger – Raised in a Doomsday Cult
Tra i “must listen” degli ultimi dodici mesi compaiono ancora una volta i Good Tiger, una formazione che ha dalla sua il dono divino del talento da qualunque lato lo si giri. “Raised in a Doomsday Cult” è un lavoro meno catchy e immediato del precedente “We Will All Be Gone”, ma forse è proprio la sua cervellotica bellezza prog-mathcore il suo maggiore punto di forza.

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Kardashev – The Baring of Shadows
I Kardashev e i loro soundscape sono una nostra vecchia conoscenza, una certezza che ci accompagna di release in release a braccetto di un “deathgaze” sempre più complesso ed elegante, e da una maggiore consapevolezza dei propri mezzi. La band dell’Arizona non è di certo per tutti, ma una volta capita la loro enigmatica ed elitaria natura, è per sempre.

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Loathe – I Took It In and It Took Everything
Una delle scommesse delle Heavy Countdown, un nome che non appena si tornerà alla normalità non potrà non finire sotto i riflettori ovunque. I Loathe, sponsorizzati anche da un certo Chino Moreno, accorpano alla ferocia delle origini atmosfere deftoniane del tutto inedite per loro, ma in grado di regalare ancora più spessore.

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Melted Bodies – Enjoy Yourself
Basta dare una rapida occhiata alla copertina di “Enjoy Yourself” o al video di “Ad People” per capire che la follia è di casa per i Melted Bodies. A cavallo tra Melvins, Dillinger Escape Plan, Mr Bungle e Primus, la formazione ci accompagna sulle montagne russe di una lucida follia e della provocazione pura e semplice, ma mai fine a se stessa.

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Oceans Of Slumber – Oceans of Slumber
Anche gli Oceans Of Slumber sono tra i nomi più gettonati in determinati Best Of di fine anno. E il motivo è più che evidente: il sestetto texano capitanato da Cammie Gilbert ha avuto l’arduo compito di portare anche sulle bocche dei profani il progressive metal contemporaneo, riuscendo nell’intento di mescolare le molteplici nature della formazione in un mix fruibile e pieno di passione.

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Protest the Hero – Palimpsest
Dire che il nuovo disco dei Protest the Hero fosse attesissimo è un eufemismo grande una casa, ma è anche una verità inconfutabile. Rimanendo sempre se stessi, ma offrendo punti di appiglio anche a chi non li ha mai capiti o apprezzati, Rody Walker e soci dimostrano ancora una volta di essere in cima alla catena alimentare del prog/mathcore.

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Pure Reason Revolution – Eupnea
Un altro ritorno gradito e inaspettato, quello dei Pure Reason Revolution. Il quarto full-length dello storico duo dà nuovo respiro all’alternative/prog rock contemporaneo, mettendo bene in chiaro che le veri menti dietro a determinate sonorità, nonostante il decennio di silenzio, siano proprio loro.

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Sylosis – Cycle of Suffering
Josh Middleton, dopo essere ormai entrato a tempo pieno tra le fila degli Architects, è riuscito a trovare il tempo di pubblicare l’ennesimo bel disco degli Sylosis. Il metalcore venato di thrash metal e incline alle melodie irresistibili torna in tutto il suo splendore. E noi scapocciamo felici.

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The Ghost Inside – The Ghost Inside
Il potere salvifico della musica fa rinascere, e i Ghost Inside l’hanno imparato ben prima della pandemia. Il terribile incidente che ha rischiato di cancellare la band dalla faccia della Terra ha in realtà cementato i rapporti umani tra i membri della stessa, ancora prima del sound melodic hardcore per cui i Nostri si sono sempre fatti conoscere e riconoscere.

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Daniel Tompkins – Ruins
Gli earworms (o “tarli nel cervello”) che Tompkins ci ha trapiantato nel cranio dopo l’uscita di “Ruins” sono ancora lì, a tormentarci meravigliosamente anche a settimane dalla pubblicazione dell’album. Un ritorno sui propri passi apprezzato e diciamolo, prevedibile da parte di chi ha fatto della perfezione maniacale il proprio mestiere.

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Within the Ruins – Black Heart
Concludiamo la carrellata del meglio del 2020 della Heavy Countdown con un disco sconsigliato ai deboli di cuore. L’ultima opera firmata Within the Ruins è la prova che il progressive deathcore, se correlato da una reale capacità esecutiva e qualche bella pensata, è in grado di lasciare il segno anche nel 2020.

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