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Interviste

Wabeesabee è più di un’attitudine, è un movimento ed è quello che ci serve ora: l’intervista

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 Saverio e Andrea, nativi umbri, amici e collaboratori di lunga data tornano a lavorare insieme sotto lo pseudonimo di Wabeesabee e Aftersex, fuori dal 23 Ottobre, è il loro primo singolo.

Il pezzo è un suggestivo intreccio di emozioni travolgenti dopo la fine di un rapporto sessuale: una calma assordante che si confonde gradualmente con un crescendo d’ansia, concedendo un riflesso fragile e non convenzionale. Una base crossover tra lo-fi, rock e neo-soul accompagna un testo minimale capace di dare spazio ad un’interpretazione personale a chi lo ascolta. Il tutto si potrebbe infatti riassumere con la strofa “Come il mio cuore indaga / Me”, ma senza malinconia,anzi, romanticizzando forse un momento ignorato inconsciamente da molti.

Questa è l’idea alla base di Wabeesabee: un concept dall’atmosfera d’ispirazione giapponese, la quale ha in comune con il duo una ricerca del dettaglio colorata ed in costante equilibrio totale. Compatibilità è la parola d’ordine di Saverio e Andrea che, grazie al loro rapporto simbiotico, riescono così a comporre senza oscurarsi l’un l’altro.

Il loro obiettivo è restituire “freschezza” e dinamismo ad una scena italiana forse un po’ troppo statica. Abbiamo avuto l’opportunità di parlare insieme per sapere cos’hanno in serbo per noi, ecco cosa ci hanno raccontato.

Inizierei chiedendovi chi c’è dietro il progetto Wabeesabee.

Dietro al progetto ci sono due ragazzi umbri: Saverio, 22 anni ed Andrea, che ne ha invece 24. Questo per quanto riguarda la parte creativa, in realtà come gruppo siamo un quartetto composto anche da basso e tastiere.

Il vostro duo ha un nome di ispirazione giapponese, si tratta ovvero di una una visione di bellezza imperfetta, impermanente e incompleta. Come mai avete deciso di fare vostra questa concezione del mondo?

Saverio: In tutta onestà il nome è arrivato mentre registravamo in studio. C’è stato un periodo in cui abbiamo approfondito i Timber Timbre ed il produttore ci ha proposto questo nome. Abbiamo pensato che è davvero una bella filosofia, che in qualche modo rispecchia anche il modo in cui un artista vede la sua opera. Incompiuta in quanto la mano non portà mai arrivare all’idea, ed in questo si riesce sempre ad estrapolare un concetto di bello, di bellezza.

Andrea: Per noi il Wabi Sabi è un modo di vedere le cose, un modo di interpretare l’arte. Il fatto che qualcosa avrà sicuramente una fine, rende quella cosa ancora più importante e più bella. Dare importanza alla nostra musica ci da la responsabilità di essere il più sinceri possibile verso ciò che vogliamo raccontare, in modo da creare una risonanza anche con chi ci ascolta.

Aftersex è il primo singolo uscito del progetto Wabeesabee. E’ la fine di un rapporto sessuale a cui orbitano intorno una combinazione di emozioni divergenti. Si ha questa sensazione sia a livello testuale che musicale, era questo il vostro obiettivo?

S: Sì, grazie! A differenza di altre situazioni, questo pezzo è nato per parlare di quello, quindi siamo contenti di essere riusciti ad esprimerci in qualche modo a riguardo.

A: Il nostro obbiettivo era proprio quello di far emergere il contrasto di emozioni che si prova quando si è in una relazione. Siamo contenti che lo abbiate colto!

 Il brano di cui abbiamo parlato è un pezzo che racchiude più di un genere musicale. In Aftersex infatti il lo-fi rilassante è sospeso da piccoli intermezzi rock, l’r&b vocale cuce il tutto insieme. Quali sono i generi e sub-generi che potremmo trovare dominanti nel vostro album Muktada di prossima uscita?

SAftersex non si discosta tanto dal resto del disco, tutti i pezzi orbitano intorno al soul e l’R&B, anzi, solo questo e un altro pezzo si fanno carico di una “sfuriata rock” se vogliamo. Però di sicuro mentre lo abbiamo composto e registrato, L’hip hop, la fusion, il folk, quel modo che avevano i francesi di cantare a metà del secolo scorso, insomma tutti questi mondi hanno avuto un ruolo importante.

A: Il disco riflette ciò che stavamo ascoltando nel periodo in cui lo abbiamo composto. Quando abbiamo iniziato a suonare insieme eravamo entrambi entrati da poco in fissa con il neo-soul e l’r&b, che poi sono i generi preponderanti del disco, sebbene provenissimo da esperienze sicuramente più rock. Questo mix di generi si nota in Aftersex, che non a caso è stato uno dei primi pezzi che abbiamo composto. Andando avanti con il tempo siamo entrati sempre di più nel mondo della black music, del folk e del synth pop, generi che ci hanno ispirato sia in fase di composizione che di registrazione.

A questo punto ci viene da chiedervi quali sono gli artisti che vi hanno maggiormente ispirato nel vostro percorso personale ed artistico.

S: Ad oggi Jeff Buckley, Jordan Rakei, Tom Misch, Hiatus Kayiote, Nick Hakim e D’Angelo su tutti. Ma nel percorso che ci ha portato a questo disco ho saputo amare (quasi follemente) i Pearl Jam, Joni Mitchell, Patrick Watson, Lucio Dalla, Niccolo Fabi, Igor Lorenzetti (alias di Dead Poets Society), considerando anche che ho cominciato a suonare grazie ai Led Zeppelin e al metal. Ultimamente Kendrick Lamar, August Greene, Anderson .Paak ed Eriykah Badu stanno a ruota nei miei ascolti, e infatti si sente già con gli ultimi pezzi che stiamo scrivendo.

A: Sicuramente D’Angelo, Anderson .Paak, Jordan Rakei, Hiatus Kayote, kendrick Lamar, John Mayer e Tame Impala . Mentre nel modo di suonare la batteria, una grande influenza l’hanno avuta senza dubbio Steve Jordan, Youssef Dayes, Questlove e Steve Gadd.

Vi conoscete da tanto tempo, e siete tornati a collaborare insieme. Come riuscite a intendervi e far incontrare i vostri bisogni nello studio di registrazione?

S: In realtà è più semplice di quanto lo si pensi, perché condividiamo l’80% dei dischi che ascoltiamo ed è spesso capitato che entrambi andassimo in fissa con un disco in comune, per esempio What Kinda Music di Misch e Dayes ha plasmato la mia quarantena tanto quanto quella di Andrea. Quindi sia a livello di produzione che nel momento in cui si creano i pezzi, troviamo molta somiglianza nelle soluzioni che proponiamo all’altro, ci rifacciamo alla stessa estetica per intenderci.

A: L’intesa nasce dal fatto che ci piace ascoltare la stessa roba. A volte, soprattutto quando suoniamo insieme, troviamo delle soluzioni che piacciono ad entrambi perché magari le abbiamo già ascoltate da qualche parte, ma sul momento non ce ne rendiamo conto. La stessa cosa avviene sia quando componiamo, che quando in studio.

L’artwork della copertina è una visione estetica vicina al vaporwave. Le due braccia che tendono una verso l’altra, incomplete, vicine ma allo stesso tempo incapaci di toccarsi. Una pausa nel tempo. Che significato ha per voi?

S: Le mani sono importantissime per interagire sia con il mondo interno che con quello esterno a noi. Durante la composizione e la registrazione del disco mi sono soffermato sull’importanza del contatto con le cose, con le persone ed ho voluto rappresentarle nell’estetica del lavoro. La copertina è un mistero: Si toccheranno? Si coloreranno a vicenda? Arriveremo prima o poi a toccarci? È davvero necessario che io provi a tutti i costi ad interagire? Al momento ci sto lavorando, è difficile rispondermi ma spero di riuscirci.

A: Grazie alle mani si può riuscire a trasformare qualcosa di astratto come un pensiero, un’idea o una esigenza in qualcosa di tangibile. Due mani diverse che cercano di toccarsi sono come due opinioni a confronto e quello che conta è ciò che sta in mezzo, il compromesso che si trova.

 Come vi siete adeguati ai tempi correnti e quali difficoltà avete riscontrato nella situazione generale attuale?

S: In tutta onestà la situazione riporta le sue positività come le sue negatività. La parte positiva è che abitando vicini possiamo pensare a comporre e divertirci. La negativa, oltre all’aspetto della chiusura di posti deputati alla cultura – alcuni anche definitivamente purtroppo – stiamo riscontrando un vero e proprio mercato all’interno di Spotify e delle playlist che mettono definitivamente in ginocchio il senso artistico che ci dovrebbe essere nella musica, e la cosa più brutta è che i musicisti stanno zitti. Coloro che sono chiamati più di altri al senso di comunità, si macchiano di metodi penosi pur di “arrivare” e non fanno altro che ricordare a tutti che la (tua) musica in italia è importante solo se appari. C’era la possibilità di invertire la rotta quest’anno ma non l’abbiamo saputa sfruttare.

A: Di sicuro il fatto di non poter suonare dal vivo ci ha un po’ penalizzati per quanto riguarda la promozione del progetto, che tra l’altro è appena partito; ma le energie che non abbiamo potuto sfruttare per i live le stiamo usando per organizzarci per il futuro. Siamo molto fiduciosi per quanto riguarda i prossimi passi che faremo, anche perché lavoriamo con un’equipe da paura formata da ragazzi molto competenti e soprattutto entusiasti di seguirci e supportarci nel nostro percorso.

Vi salutiamo chiedendovi cosa dobbiamo aspettarci dal nuovo album?

S: Tanti colori. È una prima tappa delle tante – si spera – per un viaggio all’interno della cultura black, dove la musica chill si contrappone alle tematiche abbastanza ansiose di un periodo difficile che ho passato.

A: Dovete aspettarvi un lavoro che nasce da un’esigenza, da un ideale estetico e dalla spontaneità di due amici a cui piace suonare insieme. Ah, e anche tanto groove!

 

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