Devono essersi divertiti parecchio in quello studio nel bel mezzo del deserto di Joshua Tree, Josh Homme e la schiera di dirimpettai che si è portato appresso. Me li immagino tutti stipati dentro uno scuolabus, i più ligi e inquadrati davanti e i più casinari in fondo, tutti rumorosi e imboniti dal professore a capo della spedizione, il frontman dei Queens Of The Stone Age. Chi segue il gruppo ha festeggiato alla notizia che le Desert Sessions si sarebbero riaperte e che sarebbe uscito il volume undici e dodici della rassegna. Consapevoli del fatto che niente di quello che fa Homme è brutto o anche solo ignorabile. Consapevoli anche che molto del materiale ufficiale dei QOTSA proviene dal bacino delle sessioni nel deserto (“Make It Wit Chu”) usate come laboratorio libero, un luogo di brain storming senza contaminazioni della macchina commerciale, delle mode.
Il movimento fisico del rinchiudersi in un piccolo studio nel deserto richiama quello che facevano i nativi americani per depurarsi dalle scorie quotidiane, avvicinarsi alla terra in un percorso di privazione e innalzarsi così ad uno stato spirituale altrimenti impossibile. In questo modo Homme ha sempre creduto di poter estrapolare dai musicisti ospiti e da se stesso le idee migliori. Un processo che aveva abbandonato da ben sedici anni e al quale ritorna non a caso in un momento della carriera un po’ di transizione, testimoniato dalla strana collaborazione con Mark Ronson per l’ultimo album dei QOTSA, “Villains”, dove era chiaro l’intento di voler sperimentare nuove vie sonore.
E chissà che non le abbia trovate proprio grazie a questi volumi 11 e 12, e grazie alla sconclusionata squadra che ha assemblato per l’occasione. Una foto li ritrae tutti insieme schierati spalla a spalla, come un confronto all’americana in qualche stazione di polizia. Uno schieramento incredibilmente assurdo di personaggi e musicisti sopra le righe. Spicca su tutti il mostro sacro Billy Gibbons con la sua iconica barbona che regala una performance incredibilmente fuori canone in “Move Together” dove con il falsetto fa il verso proprio al padrone di casa, e dove il mood strambo è dettato dall’altro ospite di famosissima caratura, quel tizio dal cappello assurdo che ha il nome Les Claypool-Thee, bassista dei Primus (ascoltate i The Claypool Lennon Delirium, anche), e già che siamo nell’ambito delle stranezze si alza ulteriormente l’asticella con “Chic Tweetz”, una suite retta dal comico e musicista Matt Berry (The IT Crowd).
C’è anche il leader dei Scissor Sisters Jake Shears nel delicato pop di “Something You Can’t See”, che si propone anche come l’episodio più impegnato in un canone di testi che si mantiene se no sempre all’insegna della leggerezza e dell’estemporaneo, confermando un’atmosfera veramente rilassata di tutto il contesto. E’ raffinato anche il buonissimo episodio di “If You Run”, un folk blues dove la voce di Libby Grace offre una prova calda e sensuale. C’è anche un momento strumentale, “Far East From the Tree”, per nulla banale dove una chitarra acustica ricorda vagamente la bellissima “Head Down” del capolavoro “Superunknown” dei Soundgarden e anche “Lightning Song” degli stessi QOTSA proveniente dall’album “Rated R”.
Ovviamente non mancano le canzoni in cui Homme sale al microfono. C’è “Noses in Roses, Forever” che provoca subito una sensazione di famigliarità con un ritmo frizzante e cadenzato che richiama le ultime atmosfere di “Villains”, mentre la stupenda “Easier Said Than Done” conferma ancora una volta la capacità del cantante di creare melodie impareggiabili che veleggiano tra la bellezza pura e l’angoscia dello sconosciuto, del chiaro scuro, e che ricorda quelle magnificate da “Kalopsia” in “Like Clockwork”.
“Desert Session 11&12” è un album nato sotto la stella dell’immediatezza e del vediamo cosa ne esce fuori, ma questo non vuol dire che sotto non ci sia l’intento di un gruppo di musicisti di creare un prodotto intelligente e divertente, obbiettivo in cui riescono completamente. Trenta minuti e poco più di stranezze ragionate, di improvvisazioni sensate e interamente al servizio di un intrattenimento che è messo al primissimo posto del fare musica di Josh Homme, che sempre più si candida come uno dei più importanti artisti musicali della nostra generazione.