The Heavy Countdown #96: Russian Circles, Slipknot, Killswitch Engage, Mallory Knox, The Contortionist

Russian Circles – Blood Year
Non sono solita sbilanciarmi più di tanto, ma, almeno per il momento, “Blood Year” dei Russian Circles è lo strumentale dell’anno. Prolifici ma sempre attenti a non ripetersi, i Nostri mantengono le promesse dando alle stampe un album claustrofobico e aggressivo, maniacale nella sua ricerca della perfezione (e il tocco di Kurt Ballou si sente eccome). Insomma, il contenitore ideale per tutto ciò che può essere definito post-, in tutte le sue luci e ombre (dalle sfumature post-black metal di “Milano” a quelle post-hardcore di “Quartered”).

Slipknot – We Are Not Your Kind
Gli Slipknot sono arrivati (finalmente) al punto in cui possono concedersi il lusso di dare alla luce un lavoro tanto lungo e variegato, ma nel quale l’ispirazione non cede mai il passo il noia. Escludendo i già ottimi singoli che ci hanno deliziato prima della pubblicazione di “We Are Not Your Kind”, il sesto disco di Taylor e compagnia dà sì il contentino ai fan di “Iowa” (vedi “Red Flag” e “Orphan”), ma si lancia anche all’esplorazione (e alla conquista) di territori sperimentali e elettronici (“Spiders” e “My Pain”).

Killswitch Engage – Atonement
“Atonement” è esattamente tutto ciò che ci si potrebbe aspettare dai Killswitch Engage: metalcore corposo, con le sue immancabili venature thrash e i ganci melodici irresistibili. Tutto tanto perfetto (se escludiamo l’evitabilissima ballad “I Am Broken Too”) quanto già sentito, ma l’ottavo full-length dei Nostri non è esente da chicche (il “testa a testa” tra Jesse Leach e Howard Jones in “The Signal Fire” e l’omaggio ai Testament guidato da Chuck Billy di “The Crownless King”).

Mallory Knox – Mallory Knox
Con il loro quarto, omonimo disco, i Mallory Knox ripartono da zero. Dopo l’inaspettato abbandono del cantante Mike Chapman (che non verrà sostituito, dato che al microfono ora fa doppio turno il bassista Sam Douglas), anziché rimanere con le mani in mano, i quattro inglesi pubblicano un lavoro che li rispecchia appieno, costruito su un alternative rock senza troppe pretese (con qualche vibrazione Seventies, leggi “Psycho Killer”), se non quella di far divertire divertendosi a propria volta.

The Contortionist – Our Bones [EP]
A due anni da “Clairvoyant”, per il sestetto dell’Indiana è tempo di far sentire nuovamente la propria voce con una raccolta di quattro canzoni che esplorano (ad eccezione della tanto fedele quanto innocua cover di “1979” degli Smashing Pumpkins) ognuna un diverso aspetto della proposta dei Contortionist. Se “Follow” vede un ritorno allo screaming e al growl di Lessard (cosa che ai detrattori potrebbe parere come un passo indietro), la successiva “Early Grave” si muove nella comfort zone del precedente album, mentre seppur nella sua brevità “All Grey” sembrerebbe tracciare un nuovo corso. Ma è ancora presto per sbilanciarsi.